E' in questo clima di emergenza che oggi si tiene la seconda udienza del processo al boss latitante Matteo Messina Denaro e ai suoi fiancheggiatori arrestati durante l'operazione Golem 2 l'anno scorso.
Il processo è ancora alle battute iniziali, e probabilmente anche oggi si verificheranno alcune questioni procedurali. Davanti alla corte, presieduta da Sergio Gulotta, sono imputati Matteo Messina Denaro e a 13 suoi presunti favoreggiatori: Maurizio Arimondi, Calogero Cangemi, Lorenzo Catalanotto, Tonino Catania, Giovanni Filardo, Leonardo Ippolito, Marco Manzo, Antonino Marotta, Nicolò Nicolosi, Vincenzo Panicola, Giovanni Risalvato, Filippo Sammartano e Giovanni Stallone, che devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di società e valori, estorsione, danneggiamento e favoreggiamento personale. Pubblici ministeri sono Marzia Sabella e Paolo Guido. Tredici le parti civili: Perrone Costruzioni, Clemenza Nicola, Associazione Addipizzo, Fai Associazione Antiracket italiana, Comuni di Castelvetrano e Campobello di Mazara, Confindustria Trapani, Partito democratico, Provincia di Trapani, associazioni antiracket di Marsala e Trapani, associazione «Io non pago il pizzo e tu?» e Centro Pio La Torre.Altri quattro indagati, Salvatore Messina Denaro, fratello del latitante, Andrea Craparotta, Matteo Filardo e Raffaele Arimondi hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato. Salvatore Sciacca ha, invece, chiesto di patteggiare la pena ed è stato condannato a due anni di carcere.
Messina Denaro, ovviamente, non c'è. Ogni volta che viene chiamato il suo nome il cancelliere segna "assente", ma stando ai rumor che arrivano da diverse fonti investigative, la sua latitanza potrebbe essere alla fine, come raccontavano ieri su La Repubblica Attilio Bolzoni e Francesco Viviano.
Da 18 anni Messina Denaro è un volto stampato su una fotografia in bianco e nero, o su un identikit ricostruito al computer. Di lui non si hanno più notizie dal 2 giugno 1993: quasi due decenni di latitanza perseguita quotidianamente dalle forze dell'ordine, che fino ad oggi, tra slanci e battute d'arresto nelle indagini, sono riuscite sì a far terra bruciata intorno a "Diabolik", senza però mettere le mani su quello che è considerato da tutti l'erede dei storici capi cortonesi.
Sulle tracce di Messina Denaro sono in tanti: polizia, carabinieri, guardia di finanza, reparti speciali. Persino gli uomini del capitano "Ultimo", quelli che catturarono Totò Riina, inseguono la primula rossa trapanese. Tutti con l'unico obiettivo di arrivare prima degli altri alla "preda", ma con il rischio concreto che questa sovrapposizione di indagini e di apparati possa finire per agevolare, invece, la fuga di "Diabolik".