Labita, pur essendo stato assolto nel relativo processo per associazione mafiosa in quanto ritenuto il cassiere della famiglia mafiosa di Alcamo, aveva subito la confisca del suo patrimonio.
La Corte Europea dei Diritti di Strasburgo nel 2000 aveva condannato la Repubblica Italiana per le condizioni di detenzione di Labita penitenziario di Pianosa dove era detenuto e per l’illegittima applicazione della misura della sorveglianza personale.
Labita denunciò di aver subito, nel carcere di Pianosa, maltrattamenti da parte degli agenti di custodia. In particolare egli dichiara di essere stato vittima di numerose violenze, umiliazioni, vessazioni, intimidazioni e altre forme di tortura sia fisiche che psicologiche: “Sarebbe stato sovente schiaffeggiato e percosso, sarebbe stato colpito alle dita, alle ginocchia e ai testicoli. Avrebbe dovuto subire ispezioni corporali durante la doccia e sarebbe rimasto ammanettato durante visite mediche. Le sue proteste erano inutili, addirittura controproducenti: una volta, avendo protestato perché gli agenti di custodia gli avevano strappato i vestiti, sarebbe stato minacciato, insultato e percosso da uno di essi. La sua protesi dentaria e i suoi occhiali sarebbero stati danneggiati e gli sarebbe stata rifiutata la possibilità di farli riparare, circostanze attestate dai referti medici.
L'Italia venne assolta dalla Corte di Strasburgo per i maltrattamenti (non risultarono provati), ma condannata per la mancata apertura di un'inchiesta giudiziaria sulle denunce fatte dal detenuto.
E proprio dalla sentenza di Strasburgo è iniziata la “battaglia” per vedersi riconosciuto il diritto alla revoca della misura di prevenzione personale e patrimoniale con la conseguente restituzione dei beni confiscati.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei suoi difensorri, Baldassare Lauria e Manuela Canale, e ha annullato il provvedimento della Corte di Appello di Palermo che aveva respinto la richiesta di revoca della confisca. A Labita dovranno essere restituiti i suoi beni.
Benedetto Labita viene arrestato il 21 aprile del 1992 con l’accusa di appartenere all’organizzazione mafiosa della cittadina di propria residenza, Alcamo. Labita viene sottoposto a custodia cautelare presso il carcere Ucciardone di Palermo, dove rimane chiuso in una cella di isolamento per 35 giorni. Il 6 maggio dello stesso anno richiede al tribunale di Trapani la remissione in libertà, ma la richiesta viene respinta. Il 20 luglio 1992 è trasferito al Carcere di Pianosa, dove rimane fino al 29 gennaio 1993. Viene sottoposto al regime del carcere duro previsto dall’art. 41-bis ordinamento penitenziario. Successivamente viene trasferito in altre carceri in base al luogo di svolgimento del processo. Il 12 novembre 1994 viene assolto con formula piena “per non aver commesso il fatto”. Il 14 dicembre 1995 viene confermato il proscioglimento dalla Corte d’Appello di Palermo. Dopo l’assoluzione viene sottoposto a misure di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e cancellato dalle liste elettorali. Benedetto Labita è rimasto in carcere per due anni e sette mesi.