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10/01/2012 05:33:03

Ingrasciotta: "Non sono il cognato di Matteo Messina Denaro"

Non che si sentisse minacciato per un nostro precedente colloquio. Ho precisato ulteriormente che il capitano Pizziconi ha detto una cosa falsa,in merito ai sedili della mia Bmw ed al sospetto che io potessi avere che ci fosse installata una microspia. Qualcuno aveva spostato quei sedili e non c'era bisogno dell'inserimento della chiave per azionarli e io ho denunciato questo. Ho infinite chiarito il fatto che non sono il cognato di Matteo Messina Denaro”. Infine, a domanda diretta: “Non sono mai stato in possesso di nessuna copertina di qualsiasi giornale che mostrava la foto di Matteo Messina Denaro”.

Chiosa così Giovanni Ingrasciotta, ex legale rappresentate della ‘Coffee Time’ di Sanremo, oggi di fronte al Giudice Lorenzo Purpura per rispondere dell'accusa di estorsione. L'imputato si è presentato stamattina puntuale al piano terra del palazzo di giustizia di Sanremo accompagnato dai suoi legali Andrea Rovere e Fabio D'Anna. E' opinione dell'accusa che Ingrasciotta mostrando la copia di un settimanale avrebbe detto “Questo è mio cognato: avete visto che falsità si scrivono sul suo conto”. Una circostanza che assumerebbe pertanto un altra valenza in quanto preambolo ad un incontro con i rappresentati della ditta concorrente e durante il quale venne proposta una spartizione ‘consensuale’ del territorio commerciale.

Ancora una volta, nelle circa tre ore di udienza, si è fatto un gran parlare dell'episodio cardine delle contestazioni ovvero la copertina dell'Espresso risalente al 12 aprile 2001, dove viene mostrata la foto del latitante di Castelvetrano, ad oggi considerato vertice della 'cupola'. Ingrasciotta ha smentito di aver mai fatto ricorso ad un qualsivoglia pressione ed a sentire i testimoni che oggi si sono presentati al momento nessuno sembra essere in grado di poter parlare direttamente di minacce. Il primo teste ad essere sentito è stato il capitano Sergio Pizziconi che comanda il nucleo investigativo dei Carabinieri di Imperia.

L'ufficiale ha riferito, rispondendo alle domande del PM Maria Paola Marrali, dell'attività di indagine inerente al caso oggi oggetto di processo. L'episodio relativo alla foto come riferito dal capitano Pizziconi trova la sua origine da un altro fatto delittuoso, l'incendio ad alcuni veicoli della ditta DDS risalente a Marzo 2010, mentre l'incontro e la presunta minaccia risalgono ad un mese prima, a febbraio. Durante l'attività di indagine esperita a seguito dell'incendio Girotti Paolo e Paravisi Massimo riferirono dell'incontro avuto con Ingrasciotta della circostanza inerente alla foto e della successiva richiesta di accordo per la spartizione sulla distribuzione nell'appalto per la posa delle macchinette nelle strutture dell'ASL 1. Da quelle testimonianze il capitano Pizziconi, ha spiegato che l'attenzione si era spostata ovviamente su Ingrasciotta, tanto che venne messa sotto controllo una sua utenza telefonica che si pensava fosse stata disattivata e si tentò l'installazione di una microspia dentro la BMW X6 dell'allora rappresentate legale della Coffee Time.

Ad ogni modo come precisato dal militare, quando venne installata l'apparecchiatura per l'intercettazione nell'auto, quel giorno Ingrasciotta si sarebbe accorto che qualcuno aveva messo mano nella sua auto. “Noi abbiamo l'autorizzazione solo all'accesso con la chiave, non possiamo mettere in moto la macchina ed i sedili di quell'auto si possono muovere solo con la chiave inserita nel quadro” - ha spiegato il carabiniere. Ad ogni modo su questo dettaglio c'è stata una grande discussione, Ingrasciotta infatti ha sostenuto che i sedili invece si sarebbero potuti muovere comunque anche senza chiave inserita. Un punto rilevante in quanto il capitano Pizziconi pur non riuscendo a spiegare con quali mezzi, ha sostenuto che l'imputato fosse a conoscenza o quantomeno sospettasse che nell'auto fosse stata installata una microspia. A detta della difesa, la preoccupazione di Ingrasciotta, su quel particolare dettaglio del sedile sembra che non fosse riconducibile tanto alle intercettazioni ma per paura di una qualche ritorsione per via delle sue vicende legate al tentativo di omicidio del quale era stato vittima.

Infatti dalle successive intercettazioni non è emerso nulla che provasse in qualche modo il coinvolgimento di Ingrasciotta con l'episodio delle minacce o la questione degli appalti. Inoltre è stata anche sconfessata una qualsivoglia pista che lo legasse all'attentato incendiario ai furgoni della ditta DDS.

Su questo punto si è fatto un gran discutere in aula in quanto Ingrasciotta si è chiarito dicendo che lui non ha nessun legame di parentela con Matteo Messina Denaro, mentre è realmente cognato del boss Giuseppe Panicola, l'uomo mandato per uccidere l'imprenditore e mandato pare proprio dal 'super latitante'. Anche la questione inerente alle intimidazioni è stata riproposta dall'ex consigliere regionale Franco Bonello, infatti in un'occasione di colloquio informale con Ingrasciotta quest'ultimo gli avrebbe detto di esser stato oggetto di attenzione da parte delle forze dell'ordine proprio per Matteo Messina Denaro.

Per la precisione l'imprenditore avrebbe detto all'allora consigliere che una sua villa era stata oggetto di perquisizione da parte dei Carabinieri che cercavano il boss latitante. Se quella precisazione, con dovizia di particolari, come spiegato dallo stesso Bonello, dovesse essere intesa come intimidazione circa i rapporti di Ingrasciotta con alcune personalità di spicco della mafia, sembra di no. Il consigliere incontrò l'imprenditore in quanto quest'ultimo voleva delle delucidazioni circa gli appalti per le macchinette del caffè nelle strutture dell'ASL 1, ma come spiegato dallo stesso Bonello, non si sentì minacciato tanto che riferì l'accaduto ad un amico, l'ispettore capo della Polizia Postale Ivan Bracco, non per denunciare Ingrasciotta ma in sua difesa in quanto a suo modo di vedere si sarebbe trattato di un accanimento nei confronti di un integerrimo imprenditore.

Al momento l'episodio della copertina compare a processo solo attraverso le testimonianze e comunque l'attività di indagine, basata sul burrascoso passato di Ingrasciotta e sui suoi rapporti con rappresentanti del crimine organizzato, sembra cozzare contro le testimonianze di chi venne a sapere dell'episodio. Oggi in aula solo l'amministratore delegato della DDS Girotti Paolo, che seppe dell'incontro dallo stesso Paravisi, ha detto che gli sarebbe stata riferita una percezione, della parte offesa in questo processo, di correlazione tra il preambolo della copertina e la successiva richiesta di accordo.

Di diverso avviso invece Intermesoli Nino amministratore DDS che incontrò Paravisi alcuni minuti dopo il famoso incontro con Ingrasciotta. In quell'occasione gli venne riferito della foto e della precisazione sulla parentela con Matteo Messina Denaro, ma che lì per lì non venne vista come una minaccia tanto che non fu oggetto o pensiero di denuncia ma venne considerato più uno scherzo. L'udienza si è chiusa con un rinvio al 27 febbraio, uno slittamento rispetto a quanto già previsto in quanto, stamani, in aula, è emerso che vi sono state delle mancanze all'interno delle trascrizioni in fase di esame. Sembra infatti che manchino integralmente le domande fatte dall'avvocato Fabo D'Anna. Il giudice a fronte delle rimostranze della difesa ha stabilito che il perito proceda ad un nuovo ascolto, operazione dai tempi necessariamente più lunghi rispetto alla precedente udienza in programma a fine gennaio.

Stefano Michero