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31/01/2012 00:30:23

"Il funambolo dell’immaginario"

Al contrario della volgare disarmonia odierna e della ferocia belluina persistenti, questi lavori eseguiti con tenui, sottili quanto sicuri, segni d’inchiostro sviluppano un’economia di forme e di contenuti essenziali e sommessi.
Paralleli ai racconti brevi di Joseph Roth o di Borges, dieci minuscoli fogli di buona tecnica del disegno sono capaci di esprimere il tentativo di abbattere divisioni e chiusure tra uomo e cose, tra soggetti che chiedono voci, ascolto e un dialogo.
Omini, alberi, corsi d’acqua, uccelli abbozzati hanno movenze proprie, senza prevaricazioni né timidezze, secondo una ricreazione di soggetti differenti fra loro, necessaria a ricomporre una parità di diritti estranea a qualsiasi ordine gerarchico.
Non si pensi, tuttavia, che le presenze illustrate a fil di parsimonia concludano il loro comunicare interagendo entro una cornice fiabesca ed irreale. Quelle forme e immagini, nate dal soffio di poesia, vanno oltre la retina e il gioco del puro fantasticare; evocano microcosmi perduti, schiacciati dal monismo delle culture dominanti. Oppure possono alludere a scenari possibili, quando la banale e falsa vitalità del nostro tempo sarà archiviata, per dare luogo a rapporti di reciprocità. Compreso, chiaramente, un rapporto diverso con la natura, oggi tanto sbilanciato.
Vive anche una memoria letteraria dentro questa ricerca così precipua e accattivante: il corredo immaginario presentato rimanda a Cosimo, protagonista de “Il barone rampante” di Calvino, nuovo Ulisse che per amore di conoscenza costruisce la sua casa su di un albero, testimoniando criticamente il rifiuto della realtà così come vuole la logica arroccata di potere.
Dalla fusione di curiosità e stimoli culturali diversi scaturisce un’atmosfera sospesa tra meraviglia e turbamento; nulla è statico, né definitivo e il frammento di realtà prospettato tende verso spazialità indefinite.
Di sicuro, in quella pratica creativa il processo di liberazione, responsabile e sottovoce, coincide con il sentire comune che coglie, in virtù di un linguaggio artistico vero, segnali opposti a tutto ciò che nega l’umano nella sua sfaccettata ricchezza e appesantisce il dono della vita.
Il bisogno di leggerezza è sostenuto dall’intervento delle mezze tinte, mentre la composizione di volumi e geometrie si eleva verso configurazioni così eteree da diventare spesso simbologie sussurrate.
Lungi dall’esibizione interessata, questi disegni sarebbero vano virtuosismo se non riuscissero a suscitare la spinta a fare riflettere.


Peppe Sciabica