Ore 11:00. L'otorino visita Michele, la sua epiglottide è in stato di floglosi edematosa. In pratica la cartilagine che serve a chiudere la laringe è pericolosamente infiammata e gli sta bloccando la trachea. Tra le 13:30 e le 20:00 Michele viene visitato altre due volte. E' necessaria una tracheotomia.
Alle 21:00 l'anestesista di turno, il dottor Michele Del Noce, inizia ad intubare il bambino. Trova molte difficoltà, impiega circa dieci minuti per inserire il tubo endotracheale. Considerate le dimensioni del gonfiore sceglie un tubo con un calibro molto piccolo, da 3,5 millimetri, inferiore a quello previsto dal protocollo (5 mm). Dopo aver inserito il tubo, Del Noce conclude il suo turno di servizio e lascia l'ospedale..
21:10, inizia l'operazione. L'equipe è guidata dal professore Gaspare Manzella, primario di otorinolaringoiatria, che è assistito da due aiuto otorino e da Michele Curione, l'anestesista e rianimatore che sostituisce Del Noce. Curione verifica la regolarità dell'intubazione e la corretta ventilazione del piccolo paziente, Manzella procede. Dopo circa 30 minuti il primario nota che il sangue del bambino sta cambiando colorazione, è più scuro. L'anestesista lo tranquillizza, tutto regolare, può proseguire. Il sangue è ancora scuro, Manzella accellera i tempi. L'infermiera nota una diminuzione dei battiti cardiaci e avvisa il chirurgo. E' necessaria una dose di atropina, subito. In quei minuti, tra le 21:40 e le 21:45, il cuore di Michele si ferma.
Manzella si accorge che il tubo endotracheale era posizionato nella trachea. Grida: “U tubbu unn’è?!” Dov'è il tubo? Non era nella trachea.
Michele Curione pratica immediatamente il massaggio cardiaco sul corpo del bambino, passano pochi minuti ed il suo cuore ritorna a battere. Non si sveglia. Il cuore di Michele batte, ma lui è ancora assente. Viene trasferito all'ospedale pediatrico di Palermo. Morirà dopo 39 giorni in stato di coma.
La Procura di Trapani dispone l'autopsia. I medici legali indicano come causa della morte una leptomeningo-encefalite acuta che, presumibilmente, è avvenuta nei 15-20 giorni precedenti il decesso, durante il ricovero del piccolo paziente nel reparto di rianimazione dell’ospedale palermitano.
Tutti i medici che hanno partecipato alla tracheotomia di Michele vengono rinviati a giudizio: primario, anestesisti e otorini. Nel processo penale viene nominato un collegio di periti per verificare la causa della morte. La perizia concorda soltanto in parte con l'autopsia. Quest'ultima, infatti, si limita a individuare l'ultima patologia che ha causato il decesso. La causa principale è stata l'arresto cardiaco avvenuto durante l'operazione, dopo il quale il bambino è entrato in stato di coma, fino a morire. Le responsabilità, quindi, devono essere individuate nell’arco temporale immediatamente precedente l’operazione di tracheotomia e durante quest’ultima.
I periti chiariscono che l’arresto cardiaco improvviso era stato determinato dalla mancanza di ossigeno nel sangue. Verosimilmente il tubo che che doveva servire per far respirare il piccolo Michele era scivolato senza che l'anestesista, Michele Curione, se ne accorgesse. La “caduta” accidentale del tubo è avvenuta sia perchè questo era più corto e piccolo rispetto all'età del paziente, sia perchè era ancorato malamente al labbro inferiore, una zona instabile per i movimenti istintivi della mandibola.
Il processo di primo grado si conclude nel giugno del 1998. Per la sezione penale del Tribunale di Trapani gli anestesisti Del Noce e Curione sono colpevoli del reato di omicidio colposo. Gli altri medici vengono assolti dalla stessa imputazione. I due anestesisi sono condannati anche al risarcimento dei danni nei confronti dei genitori della piccola vittima, da quantificare nel successivo processo civile.
Nel '99 il giudizio di secondo grado modifica la prima sentenza: oltre alla responsabilità penale dei due anestesisti, viene accertata la responsabilità civile di Gaspare Manzella e Salvatore Schifano, il primario e l'aiuto otorino che effettuarono la tracheotomia. La Corte di Cassazione annulla la sentenza d'appello per difetto di motivazione e dispone il rinvio ad un altra sezione della Corte d’Appello di Palermo che, nel 2001, dichiara l'estinzione del reato per prescrizione.
Del Noce e Curione vengono condannati soltanto al risarcimento delle parti civili e al pagamento delle spese legali. Tra il 2007 e il 2008 la sezione civile del Tribunale di Palermo quantifica il risarcimento dei danni in 1 milione e 500 mila euro. L'Azienda Sanitaria liquida la somma e inizia l'azione di rivalsa nei confronti dei due medici “per non avere tenuto una condotta professionale idonea ad evitare danni alla salute al piccolo paziente, poi deceduto”.
Il primo anestesista, Del Noce, aveva intubato il piccolo paziente con un tubo che poteva essere momentaneamente compatibile con il gonfiore, ma non aveva avvisato il collega dei motivi della sua scelta. Per la delicatezza della situazione e per il continuo monitoraggio che richiedeva un tubo così piccolo, avrebbe dovuto coadiuvare il suo collega, nonostante avesse ultimato il suo turno. Del Noce, inoltre, non aveva neanche vigilato sul corretto posizionamento del tubo.
Anche il secondo anestesista, Curione, è stato negligente. Ha sottovalutato la mancata ossigenazione del sangue operando con la somministrazione di farmaci, mentre proprio in quella fase avrebbe dovuto rendersi conto che mancava il tubosegnalare al chirurgo l’estrema urgenza di concludere l’intervento.
Pochi giorni fa la sezione giurisdizionale della Corte dei conti ha condannato Del Noce e Curione al risarcimento di 1,5 milioni di euro all'Asp. Questa forse è l'unica soddisfazione per il piccolo Michele, 3 anni e mezzo di vita sprecata a Trapani per colpa di un tubo troppo piccolo, messo male e caduto a terra. Nella negligenza generale.