Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
12/04/2012 04:47:26

Il caso del boss mazarese Vito Manciaracina, in carcere nonostante le gravissime condizioni di salute

Manciaracina deve scontare una condanna all’ergastolo. La Polizia di Mazara del Vallo lo ha arrestato nel 2008. Il provvedimento è stato emesso dopo che la Cassazione ha reso definitiva la sentenza. Manciaracina nell'aprile 2004 venne scarcerato per motivi di salute. Il capomafia è il padre di Andrea Manciaracina, pure lui ritenuto, dagli inquirenti, un personaggio di spicco di Cosa nostra trapanese. Quest'ultimo è stato arrestato nel 2003 in una villa nelle campagne di Marsala assieme al sicario Natale Bonafede.

Fra i tanti detenuti anche molto malati, è senz’altro il carcerato in peggiori condizioni di salute di cui si abbia notizia in Italia. A denunciare il suo stato, diventato ora anche un caso politico dopo un’interrogazione parlamentare dei radicali, è una consulenza medico legale, al di sopra di ogni sospetto in quanto disposta dal Tribunale di Sorveglianza di Bari.

Tuttavia, nonostante quella perizia descriva un quadro clinico drammatico, i magistrati continuano a trattenerlo in cella, negandogli i domiciliari. E lasciandolo immobilizzato a letto con il pannolone, in stato confusionale, in preda a crisi epilettiche, in condizioni igieniche precarie.

Sono gli stessi detenuti, denuncia il suo avvocato Debora Speciale, “ad accudirlo per pietà, per quanto possono, ma col risultato che Manciaracina vive come un barbone in cella, sporco, maleodorante, le piaghe di decubito”. Ecco come il medico legale del Tribunale – la neurologa del Policlinico barese Elena Tripaldi – riassume il quadro clinico dell’uomo, portato in carcere nel 2008 per scontare l’ergastolo nonostante fosse già allora semiparalizzato. Le sue gravi patologie, va detto, cominciano molto tempo prima della detenzione, ma peggiorano dopo l’ingresso in prigione.

"In seguito ad un ictus subito nel 1994 - si legge nella perizia medico legale - Manciaracina ha la parte sinistra del corpo (faccia, braccio e gamba), paralizzata". Il distretto sanitario di Mazara del Vallo lo ha riconosciuto invalido al 100 per cento nel 2002: "Deficit neurologico grave a sinistra. Deambulazione autonoma impedita. Incontinenza urinaria. Necessita di sedia a rotelle". Il quadro clinico già precario dieci anni fa, s'è ulteriormente aggravato nel tempo. Il corpo di Manciaracina è aggredito da un tumore alla prostata, che gli viene asportata: durante l'intervento chirurgico, il detenuto ha un arresto respiratorio e poi un arresto cardiaco da shock emorragico. Il cuore è minato da una cardiopatia ipertensiva. L'uomo crolla in depressione, e viene sottoposto ad una terapia farmacologica.

Questa la sua condizione nel momento in cui la polizia penitenziaria si reca a casa sua, nel 2008, a Mazara del Vallo, per portarlo nel carcere di Bari. Ma proprio quando l'uomo è tradotto in carcere, iniziano violente crisi epilettiche che gli impediscono praticamente di stare seduto sulla sedia a rotelle, costringendolo 20 ore al giorno inchiodato immobile su una barella. Come accenna ad alzarsi, è aggredito dall'epilessia, alla quale si aggiungono "ernie discali multiple". La situazione in cella precipita. La dose massiccia di farmaci che ingerisce gli intossica lo stomaco, procurandogli nausea e vomito continuo.

Lo psichiatra che lo visita diagnostica "un atteggiamento a tratti pseudo demenziale". La vita clinica del detenuto è ricostruita nei minimi dettagli dalla specialista Tripaldi che, ad un certo punto della sua relazione, annota: nel 2009 le autorità carcerarie sono costrette ad emettere "un ordine di servizio per disporre la grande sorveglianza del detenuto, per gravi problemi di adattamento alla vita carceraria, per rischio suicidiario e autolesionistico". Quando il medico legale del Tribunale lo visita dopo averne ricostruito l'anamnesi, gli diagnostica una "piaga di decubito sacrale" provocata dalla eccessiva permanenza in posizione orizzontale sulla barella.

Registra nel verbale il perito: necessita di "pannolone per incontinenza sfinterica" e trova il detenuto settantaseienne "estremamente trascurato in generale e nell'igiene personale, barba e capelli lunghi incolti". "Negli ultimi mesi - annota ancora il perito - s'è aggiunta gastrite atrofica erosiva e stenosi pilorica". Nonostante questo quadro clinico sconcertante, la neurologa conclude la sua relazione per il Tribunale ritenendo (incredibilmente) il paziente idoneo alla vita carceraria. "Manciaracina non è in pericolo di vita - asserisce la specialista - le sue sono patologie gravissime, ma croniche, e in carcere, del resto, è ben curato".

Ma non deve essere poi così ben curato, se la stessa Tripaldi, nella stessa relazione, ammette che "un po' di riabilitazione quotidiana potrebbe avere una ricaduta positiva sulla sindrome da immobilizzazione e prevenire le piaghe di decubito, il trofismo muscolare, la stipsi". E le crisi epilettiche? "Di per sé - spiega ancora la Tripaldi - non aumentano la probabilità di mortalità". E la forte depressione curata con una dose massiccia di farmaci? "Indubbiamente - ammette la Tripaldi - il detenuto vive il proprio stato con disagio psicologico". "Però - aggiunge - come per ogni essere umano, tocca a lui volere stabilire se incrementare il proprio benessere fisico e mentale".