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25/04/2012 06:29:53

Mafia. Schifani indagato sotto falso nome

 Un «nom de plume» dietro il quale è celata l'identità di un altro vero indagato, il presidente del Senato Renato Schifani. Sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa dall'estate 2010, quando fu riaperto un vecchio fascicolo, già archiviato nel 2003.

L'indagine, per la cronaca, è di nuovo vicina all'archiviazione: dopo due anni di accertamenti la Procura di Palermo ritiene di non avere elementi per sostenere l'accusa in un eventuale giudizio per mafia contro l'avvocato palermitano che dal 2008 siede sulla poltrona più importante di palazzo Madama. Il pool coordinato dai procuratori aggiunti Ignazio De Francisci e Antonio Ingroia ha già deciso cosa fare: ma la richiesta di archiviazione dovrà essere scritta e poi sottoposta al Gip, cui toccherà l'ultima parola.

In attesa della conclusione dell'indagine, che porta il numero 10393/10, i pm Lia Sava, Nino Di Matteo e Paolo Guido, assieme ai loro coordinatori e al procuratore, Francesco Messineo, hanno badato soprattutto a salvaguardare la segretezza del fascicolo. Impresa ardua. Quando ci fu una fuga di notizie sull’Espresso, il procuratore Messineo non si scompose: «Il nome del presidente del Senato Renato Schifani - disse allora - non è iscritto nel registro indagati di questa procura». Merito di questo sconosciuto «Schioperatu», cognome fasullo, ma non del tutto: nella prima parte, che richiama le prime lettere di «Schifani», sarebbe inventato. Nella seconda si riconduce invece a un vero ex iscritto nel registro, la cui posizione era stata archiviata. Una posizione ideale, per «coprire» l'inchiesta.

Il riserbo nell'indagine è stato massimo. Forse anche perché sin dall'inizio gli elementi in possesso dei pm si erano presentati come tutt'altro che solidi. Però, «doverosamente», un paio d'anni fa, i magistrati avevano portato avanti la nuova inchiesta, basata sui verbali dell'allora dichiarante Gaspare Spatuzza e su un'informativa della Dia, proveniente da Firenze. Secondo l'interpretazione della Direzione investigativa antimafia toscana, Spatuzza aveva parlato di incontri che l'avvocato amministrativista Schifani avrebbe avuto, intorno al '92-'93, con il boss stragista e latitante di Brancaccio, Filippo Graviano, nella sede della Valtras, un'azienda di trasporti di proprietà di un suo cliente, Giuseppe Cosenza. Nuovamente interrogato, Spatuzza aveva però precisato di non avere mai visto insieme Schifani e Graviano, mentre aveva confermato di avere visto più volte l'avvocato che andava a trovare Cosenza. Nello stesso posto in cui c'era pure il boss.

Anche se queste affermazioni erano state sommate agli elementi contenuti nella prima indagine, in cui il nome del professionista era stato chiamato in causa per la sua amicizia con Nino Mandalà, arrestato per mafia e suo ex socio di un'azienda, la Sicula Broker, costituita assieme a un altro politico, Enrico La Loggia, pure lui ex di Forza Italia e oggi nel Pdl. Mandalà, ritenuto un mafioso di Villabate, sebbene indagato da anni, solo di recente è stato condannato anche in appello a 8 anni. Ma i tempi in cui finì l'esperienza della «Sicula» risalgono all'inizio degli anni '80, quando era un perfetto incensurato. E dunque anche in questo caso l'indagine non aveva condotto a nulla.

I pm nei mesi scorsi hanno valutato anche un'intercettazione ambientale in cui un indagato per mafia parlava di un'impresa di pulizie vicina ai Graviano, che sarebbe stata «annagghiata (agganciata) politicamente ma forte, forte». L'indagato, Giovanni Li Causi, aveva fatto riferimento, nel dialogo registrato, a «Schifano». Ma secondo gli investigatori si riferiva a «Schifani». Il cui cognome era stato storpiato. Come «Schioperatu».