La scorsa settimana, come un fulmine a ciel sereno, il Vescovo di Trapani, Francesco Miccichè, è stato allontanato dalla Diocesi di Trapani. Lui non l'ha presa bene: "Pago le mie scelte contro la mafia e massoneria" ha scritto in una lunga lettera aperta.
Miccichè, al momento, è parte offesa - come ha ricordato Viola - in una vicenda molto torbida. La Procura di Trapani ha pressochè chiuso le indagini su una macchinazione che era stata montata contro il Vescvovo per screditarlo. Ci sono al momento 13 persone indagate per furto, ricettazione, frode informatica, calunnia ed anche stallking. Da questo gruppo di persone il Vescovo era stato accusato di tutto: conti all’estero, bilanci falsificati, parentele mafiose con boss sanguinari del calibro di Giovanni Brusca.
Tutte accuse infondate. E allora perchè Miccichè è stato silurato?
L'estate scorsa il Vaticano per capire bene cosa stesse succedendo a Trapani ha inviato un "Visitatore apostolico", una specie di "agente interno", chiamiamolo così. La scelta è caduta sul vicino di casa di Miccichè, Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo, che ha nei palazzi del Vaticano grande credito. La relazione che Mogavero ha prodotto è top secret. Magari anche troppo, dato che lo stesso Miccichè ha denunciato di non averne potuto prendere visione.
Sta nelle pagine di Mogavero la decisione di rimuovere Miccichè? Sta in un ribaltamento clamoroso dei fatti, con delle responsabilità individuate sull'alto prelato? Non proprio. Il Vaticano, si sa, si muove sempre con regole tutte sue. Poco, pochissimo, sono tollerati gli scandali, soprattutto quando hanno trascichi giudiziari, al di là del fatto se si è colpevoli o innocenti. Quello che oltre Tevere non hanno digerito è la rogatoria internazionale partita dalla Procura di Trapani in merito alle indagini in corso. Un rogatoria nata per accedere ad alcune carte custodite nello Ior, la banca vaticana. Un'invasione di campo, che ha portato - probabilmente - come reazione alla rimozione di Miccichè.
Altre indagini al momento non ce ne sono. Soprattutto dalle parte della Direzione Investigativa Antimafia di Palermo, che è stata tirata in ballo in questi giorni come titolare di un'inchiesta parallela sulla Curia di Trapani a proposito di mafia, traffico di opere d'arte rubate, eccetera. Il Corriere della Sera addirittura parla di "una inchiesta top secret della Direzione distrettuale antimafia su unpresunto riciclaggio di 5 milioni di euro partiti dalla Sicilia per approdare nei dintorni dello Ior". Ma è una indiscrezione che non trova assolutamente conferma.
Quello che c'è di certo, insomma, al momento, è solo l’inchiesta della Procura di Trapani, che avrebbe svelato sottrazioni per centinaia di migliaia di euro di beni immobili e opere d’arte della Chiesa a carico di un prete, Don Ninni Treppiedi (direttore amministrativo della Diocesi) e della sua cerchia familiare, allontanato dallo stesso Vescovo e poi sospeso a divinis.
Tanti gli episodi contestati a Treppiedi. Ad esempio, a fronte di una serie di lavori da farsi presso proprietà della chiesa in territorio di Calatafimi risultano essere stati alienati 11 beni immobili per un ricavo di oltre 943 mila euro, per una spesa complessiva che supera il milione di euro, spesa che il Vaticano ha evidenziato come non rendicontata. Verso Treppiedi sono avanzate precise contestazioni: l’appropriazione di 16 mila euro pagati “fuori sacco” da un soggetto (che ha sottoscritto la circostanza) che aveva comprato da padre Treppiedi beni ecclesiastici per 40 mila euro, l’impossessarsi di denaro per 147 mila euro, soldi presi da conti correnti della chiesa di Calatafimi.
L'amministratore apostolico che sostituisce il Vescovo di Trapani è mons. Alessandro Plotti, arcivescovo emerito di Pisa, nato a Bologna l'8 agosto 1932. Ha ricevuto l'ordinazione sacerdotale il 25 luglio 1959, dopo aver conseguito la Laurea in Teologia Dogmatica presso l'Università Gregoriana e in Teologia Pastorale all'Università Lateranense. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 6 gennaio 1981. Il 7 giugno 1986 è stato promosso alla guida dell'arcidiocesi di Pisa e vi ha rinunciato il 2 febbraio 2008.
«È un provvedimento estremo che non condiviso e non comprendo ma al quale per la mia fedeltà al Papa e alla Chiesa mi rimetto e ci chiedo di accettare con spirito di obbedienza», ha scritto Miccichè nella sua lettera ai fedeli. «Non hanno avuto esito fruttuoso le mie reiterate richieste di conoscere la relazione fatta dal visitatore apostolico, pertanto scrive - per quanto possa apparire incredibile - non mi è dato sapere quali sono i motivi che avrebbero reso necessario un atto così platealmente punitivo: motivi che secondo la legge canonica sono gravissimi ma anche falsi».
La legge canonica non ammette ricorso contro tale provvedimento che viene adottato dopo una lunga procedura che prende l'avvio dalla visita del nunzio apostolico e che si conclude con la decisione del Papa. Giovanni Paolo II aveva esercitato questa prerogativa solo tre volte (compreso il caso famoso del vescovo Milingo), Papa Benedetto XVI se ne è avvalso in altri cinque casi (gli ultimi con mons. Loemba in Congo Brazzaville per motivi di dissesto finanziario e con mons. Williamson in Australia (per alcune vicende a sfondo sessuale).