Sono trascorsi vent'anni da quella domenica pomeriggio che sconvolse una Palermo gia' devastata dalla morte del giudice Giovanni Falcone e della scorta avvenuta appena 57 giorni prima a Capaci. Questa volta, il tritolo uccise il giudice Paolo Borsellino e cinque dei suoi 'angeli custodi'. Ci sono state sentenze definitive sulla strage di via D'Amelio, ma non sono servite per svelare quanto accadde realmente, perche' venne ucciso Borsellino e, soprattutto, chi fu la mente di questo atroce eccidio.
A squarciare un velo sulla strage del 19 luglio 1992, ne sono convinti gli inquirenti, e' stato il pentito Gaspare Spatuzza, un ex 'picciotto' di Cosa nostra, con numerosi omicidi sulle spalle ma che oggi si dice vicino a Dio. E' stato lui, davanti ai magistrati di Caltanissetta che hanno riaperto l'indagine, a spiegare che il pentito Vincenzo Scarantino avrebbe mentito agli investigatori. Che avrebbe raccontato solo un castello di bugie, anche autoaccusandosi falsamente. Proprio sulla base della nuova inchiesta, la Procura generale di Caltanissetta ha chiesto e ottenuto dalla Corte d'Appello di Catania la sospensione della pena per otto condannati nel primo e nel secondo processo Borsellino. Non solo. Nel marzo scorso la Procura di Caltanissetta, diretta da Sergio Lari, chiese e ottenne l'emissione di quattro ordinanze di custodia cautelare.
Le ordinanze colpirono quattro uomini: il capomafia pluriergastolano Salvino Madonia, accusato di aver partecipato alla riunione di Cosa nostra in cui si decise l'avvio della strategia stragista), i boss Vittorio Tutino e Salvatore Vitale e il pentito Calogero Pulci.
Nelle quasi duemila pagine dell'ordinanza di custodia cautelare, corredate anche di foto e immagini, i magistrati ricostruiscono non solo la fase esecutiva della strage, ma affrontano anche i capitoli del movente. E non escludono il coinvolgimento di uomini delle istituzioni. Nella nuova inchiesta, i magistrati di Caltanissetta, diretti dal procuratore Sergio Lari, introducono delle novita' rispetto alle sentenze passate in giudicato. Intanto, come racconta un altro pentito dell'ultima generazione, Fabio Tranchina, i pm escludono che l'autobomba fosse stata azionata da Montepellegrino. A premere quel maledetto pulsante del telecomando, secondo Tranchina, sarebbe stato "quasi certamente Giuseppe Graviano che aziono' il telecomando", scrivono i magistrati. "Era dietro il muro che delimitava la fine della via D'Amelio ed un retrostante giardino". Graviano e' stato gia' condannato per la strage del 19 luglio.
Dalla nuova indagine, che prosegue ininterrottamente, Paolo Borsellino sarebbe stato ucciso perche' sapeva dell'avvio di una 'trattativa' tra lo Stato e Cosa nostra e si sarebbe opposto con tutte le sue forze. Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Caltanissetta, con le deposizioni dell'allora ministro della Giustizia, Claudio Martelli, e di Liliana Ferraro, che aveva preso il posto di Giovanni Falcone come direttore Affari penali del ministero, pochi giorni prima di essere ucciso Paolo Borsellino venne messo al corrente di una visita del capitano del Ros dei carabinieri Giuseppe De Donno alla Ferraro. In quell'occasione, De Donno le parlo' tra le altre cose, di una iniziativa del Ros con Vito Ciancimino per "fermare le stragi" o "lo stragismo".
Secondo i Pm, l'ufficiale rappresentava anche il suo superiore, il colonnello Mario Mori, e cercava un "supporto politico". Martelli, sentito dalla Procura, ha detto che la Ferraro gli comunico' il colloquio con De Donno: "Sono rimasto perplesso -ha affermato- poiche' mi sono chiesto come mai De Donno avesse utilizzato proprio il termine 'stragi', posto che in quel momento si era verificata solo la strage di Capaci". La Ferraro aveva invitato De Donno a riferire a Borsellino dei suoi contatti con Ciancimino, e poi lo fece lei stessa personalmente il pomeriggio del 28 giugno 1992: "Il dottor Borsellino non ebbe alcuna reazione, mostrandosi per nulla sorpreso e quasi indifferente alla notizia, dicendomi comunque che se ne sarebbe occupato lui"', ha riferito la Ferraro.
E a suffragare la tesi della procura nissena ci sono altri pentiti. Anche 'storici'. Come Antonino Giuffre', ex braccio destro del boss Bernardo Provenzano. E' di un mese fa la sua deposizione fiume nel corso di un incidente probatorio davanti al gip di Caltanissetta Alessandra Giunta, chiesto nell'ambito della nuova inchiesta sulla strage di via D'Amelio che a marzo scorso ha portato all'emissione delle quattro ordinanze di custodia cautelare a carico di Madonia, accusato di essere mandante dell'eccidio, Vittorio Tutino, l'uomo che avrebbe insieme a Spatuzza rubato l'auto poi imbottita di tritolo usata per fare saltare in aria Borsellino, Salvo Vitale, il basista che avrebbe dato il via libera avvertendo il commando dell'arrivo del giudice in via D'Amelio, e Calogero Pulci, il pentito dalle alterne vicende che, mentendo, avrebbe confermato i depistaggi di Vincenzo Scarantino.
"Oggi in loro memoria - ha detto Giuffre' - fanno grandi celebrazioni, ma quando erano vivi anche all'interno della magistratura non avevano molti amici e anche questo ha reso forte Toto' Riina". Perche', spiega, la mafia approfitta dell'isolamento dei suoi nemici. E durante l'incidente probabtorio Giuffre', ricostruendo l'eccidio di via D'Amelio, ha parlato anche della cosiddetta trattativa tra Stato e mafia.
"Dalla stampa capii - ha detto il collaboratore - che Vito Ciancimino (ex sindaco di Palermo ndr) stava collaborando con le forze dell'ordine o con i magistrati e chiesi spiegazioni a Provenzano. Lui rispose: 'Vito e' in missione si occupa dei nostri interessi'". Una frase non esplicita ma per Giuffre' un segnale che la trattativa ci fu. E accelero' la morte di Borsellino, gia' nel mirino di Cosa nostra.
La Procura di Palermo sta indagando da anni sulla trattativa e proprio nei giorni scorsi c'e' stato l'avviso di conclusione indagine, atto propedeutico alla richiesta di rinvio a giudizio. Nell'elenco degli indagati ce ne sono due che non avrebbero materialmente partecipato alla trattativa.
Si tratta dell'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza ai pm, e di Massimo Ciancimino, che risponde di concorso in associazione mafiosa e di calunnia aggravata nei confronti dell'ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro. In cima alla lista degli indagati cinque mafiosi: Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Antonio Cina', Toto' Riina e Bernardo Provenzano. Poi uomini delle istituzioni e politici: l'ex generale Antonio Subranni, l'ex colonnello dei Ros Giuseppe De Donno, l'ex generale del Ros Mario Mori, l'ex ministro Calogero Mannino e il senatore Marcello Dell'Utri. Fuori dall'elenco Giovanni Conso e Adalberto Capriotti: l'ex ministro della Giustizia e l'ex direttore del Dap sono accusati di false informazioni al pubblico ministero, la loro posizione e' stata stralciata perche' il reato di cui sono accusati presuppone che sia concluso il processo principale.
Le accuse sono violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. "Hanno agito per turbare la regolare attivita' dei corpi politici dello Stato - si legge nell'atto d'accusa - Hanno agito in concorso con l'allora capo della Polizia Parisi e il vicedirettore del Dap Di Maggio, deceduti". L'avviso di conclusione delle indagini non e' stato firmato dal procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, che non e' formalmente titolare del procedimento, e dal sostituto Paolo Guido, in disaccordo con la linea portata avanti dall'aggiunto Antonio Ingroia e dai sostituti Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Lia Sava. E il mistero continua.