Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
12/10/2012 04:16:28

"Gli imprenditori trapanesi devono essere più decisi contro la mafia e il racket"

Tutto inizia qualche anno fa. Quando ci è venuta l’idea di creare il Consorzio di Turela Valli Belicine, nell’ambito dell’olivicoltura. Il giorno stesso dell’inaugurazione di questo consorzio mi viene incendiata la macchina. È stato un momento particolare, non sapevamo se abbandonare l’attività o meno. Abbiamo deciso di andare avanti, fino alla costituzione di parte civile al processo Golem II. Questa rappresenta una pagina particolare perché le forze dell’ordine hanno subito trovato gli autori del gesto.

Cos’è cambiato da allora?

Da lì ad oggi la mia scelta è stata quella di continuare ed esortare gli imprenditori a cambiare pagina. È un momento importante che può segnare una storia più felice nella nostra zona, quella nella quale si può definitivamente pensare che la mafia si può battere.

Che reazioni trova nei suoi colleghi imprenditori, rispetto alla sua esperienza e all’invito che lei fa?

Ancora non possiamo dire totalmente che “ci siamo”. La reazione più grande non è stata quando ho subito l’attentato, ma quando mi sono costituito parte civile al processo.

Perché è stata una risposta diretta e chiara contro la mafia.

È come se avessi osato disturbare l’“onorata” suscettibilità della mafia. In effetti dobbiamo fare ancora dei passi avanti, ma si devono fare concretamente. Facendo capire alla gente, agli imprenditori, che è la legalità che paga. Provando a portare avanti una logica di consumo critico, sulla scia di quello che sta facendo Addiopizzo a Palermo e di quello che fa l’Associazione antiracket Libero Futuro.

Perché secondo lei Addiopizzo a Palermo funziona, e nel nostro territorio, invece, realtà simili stentano a decollare?

Intanto ci sono delle dinamiche diverse. Perché in parte è vero che in provincia di Trapani non si paga il pizzo in maniera diretta come a Palermo. Ma il pizzo lo si paga in maniera indiretta, e lo fanno tutti. Lo si paga nelle varie mediazioni sbagliate dei prezzi, lo si paga nel prezzo basso dei prodotti agricoli. Quindi c’è questa logica diversa, che è sottilissima e che porta a non far valutare bene la gravità di questo problema.

A Palermo invece è più diffuso il pizzo classico: “paga o ti brucio il negozio”. E di conseguenza è più diffusa tra i commercianti la volontà di non pagare.

Mentre a Palermo il commerciante riceve una grossa mano d’aiuto degli altri commercianti, e si comprende subito che quel commerciante non sta più pagando il pizzo. Da noi il percorso è un po’ più lungo. Quindi noi dobbiamo far capire che un prodotto che viene da un circuito legale, deve essere anche apprezzato dalla gente che non vuole essere indirettamente complice del circuito mafioso. Se io compro una bottiglia di vino che viene da un circuito di legalità so che non finanzio indirettamente l’economia mafiosa.

Tra i consumatori, in provincia di Trapani, c’è la sensibilità dell’acquisto di prodotti “etici”?

Devo dire purtroppo che ancora non c’è questa sensibilità. Per questo dobbiamo aumentarla. C’è addirittura ancora una certa remora dell’imprenditore ad inserire sul prodotto quel bollino che indica la provenienza non mafiosa. Come se quel bollino dovesse allontanare il cliente pro-mafia o contro-mafia. Su questa sfida dobbiamo misurare la società civile del nostro territorio.

Noi sosteniamo, e lo diciamo con molta serenità, che anche nel movimento antimafia non tutto fila nel verso giusto.  Soprattutto nell’antiracket ci sono molti furbi, cioè imprenditori che si dichiarano antiracket per non pagare le tasse, o associazioni che nascono solo per prendere i finanziamenti pubblici. Anche lei avverte la stessa situazione?

Io non so nel nostro territorio quante associazioni antiracket ci siano. Le posso sicuramente dire che la nostra associazione Libero Futuro non nasce per “autoreferenziarsi”. Un’associazione antiracket che funziona deve misurarsi sulla base del lavoro che fa. Quindi delle denunce che porta, degli imprenditori che assiste. Ma non facendo per forza delle manifestazioni. Semmai i risultati si devono dire dopo.

E come abbiamo detto, ancora la strada è lunga.

Oggi in provincia di Trapani i risultati non sono così eclatanti. Sappiamo che qui c’è uno zoccolo duro della mafia, e quindi dobbiamo lavorare ancora più duramente. Se qualcuno dei cosiddetti furbetti volesse avvicinarsi alla nostra associazione antiracket non farebbe altro che accelerare l’autodistruzione di quell’azienda. Noi non abbiamo nulla da recriminare, ma se si avvicina uno all’associazione solo per cavarne qualche privilegio e poi si comporta in altro modo, non avrà soltanto contro le situazioni normali ma anche quelle derivanti dall’associazione. Un associato deve comportarsi bene due volte, deve dare l’esempio.