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26/01/2013 05:19:24

Stato - mafia, si allontana il rinvio a giudizio

E nel giorno in cui era  attesa la decisione sul rinvio a giudizio dei dieci imputati - boss, politici e vertici dell'Arma - affida a tre testimoni l’ultima parola. Il magistrato dispone un’integrazione probatoria che entra nel profondo dell’indagine e coinvolge tre personaggi chiave degli anni in cui Cosa nostra avrebbe stretto il patto con le istituzioni grazie all’intermediazione dei carabinieri del Ros. Tre testimoni molto diversi tra loro: l’ex capo della Dia Gianni De Gennaro, che nel procedimento è pure parte lesa del reato di calunnia commesso da Massimo Ciancimino; il pentito Giovanni Brusca, tra i primi a parlare della trattativa; e il dichiarante Paolo Bellini, eversore nero a braccetto coi Servizi, che ha raccontato di una trattativa minore avviata a suo dire da pezzi della mafia e militari dell’Arma attorno alla restituzione di opere d’arte trafugate allo Stato.

Ampia la traccia indicata dal gup per l’esame di Brusca che dovrà parlare di argomenti come il movente dell’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima, delitto che, per i pm, avrebbe `dato il la´ alla strategia stragista di Cosa nostra finalizzata a costringere lo Stato a venire a patti, i progetti di Totò Riina prima e dopo le stragi del ’92, le dinamiche interne all’organizzazione dopo la cattura del padrino di Corleone, i suoi rapporti con Bernardo Provenzano.

Più stretti gli ambiti in cui dovrà svolgersi l’interrogatorio di Bellini, ex compagno di cella di uno dei killer di Falcone, Nino Gioe’, poi morto suicida: al dichiarante, che sconta diverse condanne per omicidio, il gup chiederà dei contatti avuti con i carabinieri e del suo ruolo nella trattativa avviata da Gioè e finalizzata ad avere benefici carcerari per alcuni boss in cambio dell’aiuto della mafia allo Stato per ritrovare alcuni capolavori trafugati. infine De Gennaro che verrà sentito in quanto vice e capo della Dia tra il 1991 e il 1994. A lui il giudice chiederà delle informazioni che la Direzione Antimafia aveva in quegli anni sulle stragi e sulle piste investigative seguite. Di certo oggetto dell’esame sarà la relazione che ad agosto del 1993 la Dia inviò all’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, nel procedimento accusato di falsa testimonianza: un dossier rimasto riservato per anni e desecretato dalla commissione Antimafia il 20 luglio scorso. Allora gli investigatori tracciavano un quadro poi rivelatosi profetico della stagione stragista sostenendo che la mafia aveva attuato un progetto criminale disegnato da poteri più grandi, con un obiettivo superiore rispetto agli interessi dei clan.

«La perdurante volontà del Governo di mantenere per i boss un regime penitenziario di assoluta durezza ha concorso alla ripresa della stagione degli attentati. - scriveva la Dia - Da ciò è derivata per i capi l’esigenza di riaffermare il proprio ruolo e la propria capacità di direzione anche attraverso la progettazione e l’esecuzione di attentati in grado d’indurre le Istituzioni a una tacita trattativa». Un termine, trattativa, usato dagli inquirenti anni prima che diventasse anche solo un’ipotesi investigativa. Nel dossier c’era anche un avvertimento allo Stato: «l’eventuale revoca anche solo parziale dei decreti che dispongono l’applicazione del carcere duro, potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe». Un monito che solo due mesi dopo verrà ignorato con la decisione dell’allora Guardasigilli Giovanni Conso di revocare il 41 bis ad oltre 300 mafiosi.