La Sicilfert si occupa del compostaggio degli scarti della raccolta differenziata dei vari Ato della province di Trapani, Palermo ed Agrigento, nonché dei rifiuti provenienti da aziende di tutto il territorio siciliano. Un giro annuo che sfiora le 40mila tonnellate. Questi rifiuti producono a sua volta un altro rifiuto, il percolato. Che è in pratica quello che non serve del rifiuto organico che poi verrà lavorato per farne concime. Il percolato prodotto dalla Sicilfert non è pericoloso ma è un rifiuto speciale e nocivo. E, soprattutto, non si può sversare all’aria aperta. Le analisi effettuate dell’Arpa su tutti i punti investiti dal percolato (cancelli, sede stradale, terreni limitrofi e bacino del lago) dovranno confermare la presenza del liquame e in relazione a questi dati si potrà percepire l’esistenza e l’entità del danno ambientale. Come abbiamo raccontato lunedì e documentato con la nostra video inchiesta, era nelle serate di pioggia battente che il percolato veniva sversato per strada. Tutto è finito il 9 marzo scorso quando i Vigili del Fuoco, i tecnici dell’Arpa di Trapani, gli uomini del Nucleo Ambientale dei Vigili Urbani di Marsala, diretti dal Comandante Vincenzo Menfi, perquisiscono l’azienda. Tutto passa alla magistratura. La Sicilfert è stata fondata nel 1983 e, nel suo curriculum, dice di essere fornitrice della Fao, l'agenzia dell'Onu per lo sviluppo dell'agricoltura nei paesi del terzo mondo. Menomale.
L’azienda ha un nome, Sicilfert. Ha una forma, un’ubicazione: Contrada Maimone, Marsala, sulla SS 118. Ha anche delle persone che la controllano. Da un rapido sguardo alla visura camerale, fino al 22 novembre 2012 amministratore unico della società era Michele Foderà. Poi subentra il figlio Pietro Foderà, che diventa presidente del Cda e custode giudiziario dei beni. Perché nel 2008 la Sicilfert subisce un sequestro preventivo di beni per 327.033,71 euro, su disposizione del Tribunale di Marsala. Gli altri membri del consiglio di amministrazione sono Brigitte Maltese (vice presidente) e Michele Manca. La Sicilfert, fino al 2010 aveva un capitale sociale di 51.480 euro. Quote detenute da Pietro Foderà (12.870 euro); Caterina Foderà, figlia di Michele (12.870 euro) Antonino Foderà, fratello di Michele (25.740 euro).
Le attività che svolge, secondo lo statuto, sono per l’esattezza: “Commercio all’ingrosso di fertilizzanti e concimi. Produzione e commercializzazione di fertilizzanti e concimi. Raffinazione, miscelazione, insacchettamento di concimi, fertilizzanti, ammentanti correttivi, siano essi in polvere, granulari o liquidi. Creazione di depositi sia in Italia che all’estero. Partecipazione a fiere, mostre, mercati sia nazionali che esteri. Appalti lavori pubblici e privati relativi a sistemazione idraulico forestali, lavori agricoli di giardinaggio con progettazione e sistemazione di opere in verde ivi compreso potatura, fertilizzazione, diserbo, protezione di scarpate. Produzione di piante, parti di piante e semi e loro commercializzazione”.
Tutto ciò non viene fatto soltanto nei pressi del lago Maimone. La Sicilfert a Marsala ha anche uno stabilimento in contrada San Silvestro per la produzione di concimi.
Facciamo un passo indietro. Non è la prima volta che gli inquirenti si occupano della Sicilfert di Marsala. Ci sono precedenti, diversi. Tra il febbraio e marzo 2009, ad esempio, lo stabilimento viene prima sequestrato e poi dissequestrato. Della vicenda se ne occupa anche la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. “Nel corso delle indagini – si legge nel documento datato 6 ottobre 2010 - sono state rilevate numerose violazioni alle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzativo e, anche a seguito di consulenze tecniche disposte dal pubblico ministero e confermate in sede di incidente probatorio, sono stati evidenziati i problemi di inquinamento ambientale legati alla violazione delle prescrizioni”. Poi rientra l’allarme, la Sicilfert si “adegua”, nel senso che comunica di aver fatto tutti i lavori per non inquinare più e torna operativa. Dura poco però, perché dopo pochi mesi, nel luglio 2009, l’azienda viene messa di nuovo sotto sequestro dopo un blitz della Guardia di Finanza di Trapani. Vengono denunciati a piede libero l’allora amministratore unico della società, Michele Foderà. Con lui anche i soci e parenti Pietro e Antonino Foderà, ed un autotrasportatore, Antonio Calamusa, vengono accusati di avere sparso materiale inquinante denominato impropriamente “sovvallo” nei terreni dell’azienda e all’interno di un invaso per l’irrigazione di liquami in eccesso prodotti dalla fermentazione dei rifiuti. Terreni situati tra Marsala e Mazara, per un totale di 25 ettari vengono sigillati, bloccati. La stessa cosa accade per l’invaso, che dalle analisi dell’Arpa sarebbe risultato “colmo di liquami contaminati da percolato”. Sempre lui. Passa un mese, e il tutto viene nuovamente dissequestrato. Ancora nel 2010 la Sicilfert si sente bussare alla porta gli uomini della Guardia di Finanza e i tecnici dell’Arpa. Il blitz scatta in 5 ettari di terreno “nella disponibilità della Sicilfert”. Terreni in contrada Rinazzo e San Silvestro sequestrati perché pieni di rifiuti. A Rinazzo le Fiamme Gialle hanno trovato quintali di scarti da lavorazione industriale, a San Silvestro c’era invece un deposito incustodito di vinacce. I terreni erano diventati delle vere e proprie discariche. Oltre agli scarti che sarebbero stati sversati dalla Sicilfert altra gente andava lì a gettare frigoriferi, lavatrici, pneumatici, e tanto altro. Anche in questo caso la magistratura apre un inchiesta, e dopo un po’ i terreni vengono liberati.
Sulla Sicilfert pende anche una condanna pesantissima della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti siciliana. L’azienda e l’allora amministratore unico Michele Foderà sono stati infatti condannati a risarcire allo stato una cifra vicina ai 2 milioni e mezzo di euro. La vicenda inizia nel 2005, quando l’azienda riesce ad ottenere un contributo di 5 milioni di euro per realizzare un impianto a biomasse per la produzione di energia alternativa. I soldi arrivano dal rubinetto del Por 2000-2006. Nel marzo 2007 la Sicilfert incassa metà del contributo, 2,5 milioni di euro circa, e comunica che i lavori erano cominciati un mese prima. Poi, arrivano le Fiamme Gialle ad ispezionare, tra aprile e novembre dello stesso anno e scoprono che in realtà non c’è niente: "completa assenza di lavori edili e l'assoluta mancanza dell'apposizione della cartellonistica prevista dalla normativa in materia di finanziamenti". Nel 2008 la Procura della Repubblica di Marsala apre un inchiesta e indaga su Michele Foderà e il socio Antonino Foderà. L’accusa è pesante: truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, falsità in scrittura privata e malversazione a danno dello Stato.Il caso passa poi alla Corte dei conti che condanna in solido la Sicilfert e Michele Foderà, in primo grado a risarcire circa 2,5 milioni di euro. Antonino Foderà invece viene prosciolto.
"L'importo di 2.542.399 euro, erogato a titolo di acconto sull'intero finanziamento - si legge nelle motivazioni della sentenza - costituisce danno erariale causato alla Regione siciliana, atteso che le somme anticipate non sono state utilizzate per la realizzazione dell'opera prevista e non hanno contribuito al perseguimento delle finalità alle quali erano destinate. Al riguardo risulta ampiamente provato dalle indagini non solo il mancato completamento dell'impianto produttivo di energia rinnovabile, ma, addirittura, il mancato avvio dei lavori sul sito destinato all'impianto in questione".
Quello che abbiamo scoperto sulla Sicilfert non è un caso isolato nel nostro territorio.
Nel 2010 ad Alcamo la Forestale ha sequestrato la Sirtec, sempre nel settore della produzione del compost da trasformazione dei rifiuti organici. La Forestale nell’inchiesta ha scoperto che l’azienda aveva sversato liquami nel suolo e nelle acque di superficie. L’impianto aveva anche un impianto di scarico non autorizzato. La Sirtec un anno dopo è stata colpita da una maxi operazione antimafia, in cui è stato arrestato il capo dell’azienda nonchè re dei rifiuti in provincia di Trapani, Vincenzo D’Angelo, con l’accusa di aver esportato illegalmente rifiuti fino in Corea del Sud. Alla Sicilfert non avevano bisogno di andare così lontano.