Parlando nell’ambito interumano il discorso è di lineare semplicità: il perdono può condurre alla riconciliazione solo nella misura in cui si incontra con il pentimento. La meta è conseguita nell’abbraccio tra i due estremi che si cercano l’un l’altro. Perdono e pentimento, se non si congiungono, restano due amanti delusi e inappagati. L’iniziativa può partire dall’uno o dall’altro; la risposta resta in ogni caso decisiva. La persona pentita mendica il perdono di chi ha offeso solo se è consapevole che la sincerità del suo cuore non basta da sola a sanare la ferita. Il perdono può essere anche concesso per primo e senza condizioni, esso però non segna alcun riscatto pieno se non induce l’animo dell’offensore a produrre degni frutti di penitenza.Prospettare la necessità della risposta non rende il perdono condizionato, non ne sminuisce la nobiltà: ne evidenzia solo il limite umano. Se non incontra il pentimento vuol dire che il perdono non è stato in grado di mutare l’animo dell’offensore, perciò non è stato capace di sciogliere il nodo che lo tiene avvinto alla colpa. Se lo avesse fatto avrebbe infatti suscitato in lui il pentimento. Ci si trova dunque di fronte a uno scacco, sia pur parziale. Dio ha riconciliato il mondo a sé anche quando quest’ultimo era nel peccato (cfr. Rm 5,6-8); tuttavia nessuna creatura, neppure quella perdonante, può mettersi al posto di Dio.
Si dice che bisogna seguire l’esempio di chi dalla croce ha perdonato i propri crocifissori. Eppure le parole pronunciate da Gesù non furono: vi perdono. Furono una preghiera al Padre di perdonare coloro che non sanno quello che fanno (cfr. Lc 23,34). Gesù non perdona in prima persona i propri persecutori, prega per loro. Ciò è imposto dal fatto che in loro non vi è alcun pentimento. A conformarlo in maniera piena è la ragione addotta per quella preghiera che chiede il perdono: l’ignoranza a proposito dell’azione commessa. Questa dichiarazione non va intesa un’attenuante; non si è in sede giudiziaria. Tantomeno va ritenuta una smentita di ipotetiche accuse di deicidio (ignote al Nuovo Testamento). Il suo significato è semplicemente quello di essere davanti a una mancanza di pentimento: fino a quando l’assassino non sa quello che fa non potrà mai pentirsene. Per definizione ci si rende conto del male non quando lo si sta compiendo, ma solo dopo se e quando ci si pente di esso. La misericordia di Dio è più grande di ogni colpa e di ogni mancanza di pentimento. Per questo le porte della preghiera restano sempre aperte. Tuttavia la creatura non è Dio; l’essere umano resta tale sempre anche quando perdona.
Violairis - 18 giugno 2013 - www.chiesavaldesetrapani.com