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12/10/2013 06:21:00

Diffamazione, tre anni e ventisettemila euro la media delle condanne

I ncorrere in una causa (civile o penale) è uno dei rischi più diffusi per chi svolge la professione giornalistica. Le cause hanno spesso una connotazione intimidatoria e, anche per questo, è utile studiarne l’andamento, come fa la ricerca commissionata dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia allo Studio legale associato Galbiati, Girandi, Scorza e Peron. I risultati della ricerca sono esposti sul periodico NewTabloid (LEGGI). La ricerca è stata condotta sulle sentenze emesse dal Tribunale di Milano nel biennio 2011-2012. Il primo dato messo in evidenza dice che la durata media di questi procedimenti è stata di tre anni e tre mesi.

 

SOGGETTI COINVOLTI - La ricerca evidenzia, anzitutto, che i soggetti più esposti a querele per diffamazione sono, prevalentemente, le testate giornalistiche (77%) e le loro emanazioni on-line, seguite in classifica dai libri (14%) e da spettacoli teatrali e altre manifestazioni del pensiero. Invece, le parti querelanti sono, anzitutto, le persone giuridiche-enti pubblici (20%) seguite da vari soggetti privati (magistrati, professionisti, politici e sindacalisti). Sono quindi i giornalisti i soggetti più esposti e io ritengo che una delle problematiche più rilevanti sia quella inerente le cause promosse nei confronti di giornalisti locali e dei free-lance, i quali non hanno la copertura finanziaria che hanno invece i loro colleghi delle grandi testate nazionali e dei maggiori gruppi editoriali.

OGGETTO DELLE CAUSE - Prevalentemente le cause si riferiscono ad articoli di cronaca (47%) e a commenti ed editoriali (38%). Com’è noto, la legge prevede che al fine della verifica della sussistenza della fattispecie diffamatoria è necessario valutare se la condotta del giornalista non sia “coperta” dall’art. 51 c.p. e cioè dal diritto di cronaca o di critica. Requisiti fondamentali affinché la condotta sia “scriminata” sono la verità della notizia, la rilevanza della notizia, e la continenza espositiva: la ricerca ha indicato che nel 77% dei casi è risultato mancante proprio il requisito della verità della notizia.

Occorre una precisazione: l’odierna giurisprudenza, peraltro successiva al 2012, soprattutto in tema di diritto di cronaca (locale) afferma che il requisito della verità possa essere rinvenuto anche laddove il giornalista sia incorso in talune inesattezze purché non pregiudichino il corpo sostanziale della notizia. La rilevanza sociale della notizia deve essere considerata (quasi) in re ipsa – ovvero in se stessa – allorché riguarda fatti di cronaca locale: questo perché a livello locale il legame che intercorre fra istituzioni locali e cittadini è strettessimo.

RISARCIMENTI - La legge prevede (articoli 2043 e 2059 codice civile) due tipi di risarcimento: quello del danno patrimoniale e quello del danno non patrimoniale (detto “morale”). Il primo è possibile soltanto qualora sia dimostrato un nesso causale chiaro fra la condotta diffamatoria e una contrazione del reddito della persona che la subisce. Il secondo è liquidabile in presenza di un reato (ai sensi dell’art. 185 c.p. e cioè ove si sia accertata la diffamazione) o a seguito dell’accertamento della lesione di un diritto di rango costituzionale del soggetto che subisce la condotta diffamatoria (lesione dell’immagine).

DANNI PATRIMONIALI – La ricerca mostra che nell’85% dei casi l’attore ha determinato la somma dovuta, mentre nel restante 15% dei casi tale somma è stata richiesta in via equitativa (secondo la valutazione del giudice che soppesa gli interessi delle parti). L’importo medio della somma chiesta a titolo risarcitorio per il danno patrimoniale e morale è stata pari a quasi 750.000 euro. In nessun caso è stata riconosciuta l’esistenza di un danno meramente patrimoniale.

DANNI NON-PATRIMONIALI – Per questa tipologia di risarcimento, a fronte di una somma richiesta, mediamente, pari ad euro 414.000,00, relativamente al solo danno non patrimoniale, la somma liquidata è stata invece di poco inferiore a trentamila euro (27.828 €).

ACCOGLIMENTO – In totale, la percentuale delle domande di risarecimento accolte è stata del 55% .

SPESE LEGALI - La ricerca evidenzia che nel 16% dei casi il Tribunale di Milano ha stabilito la compensazione delle spese. Tale compensazione è più elevata (30%) in caso di rigetto della domanda mentre è più bassa in caso di accoglimento.

Su questo dato, però, bisogna interrogarsi: in caso di rigetto della domanda sarebbe necessario che i Tribunali non compensassero le spese, ma le ponessero a carico della parte soccombente considerato che, spesso e come detto, le azioni legali hanno carattere minatorio e prettamente strumentale. Discutere, ad esempio, del modello anglosassone per cui, il soggetto querelante deposita una sorta di caparra (graduata, naturalmente), che perderà nel caso di rigetto della domanda, potrebbe essere utile al fine di individuare un valido strumento di dissuasione alla proposizione di domande temerarie ed infondate.

In definitiva, si può dire che la ricerca condotta dallo studio legale Galbiati, Girandi, Scorza e Peron, dimostra, ancora una volta, che è necessario un intervento del legislatore volto anzitutto a tutelare i giornalisti, spesso i soggetti più esposti soprattutto se locali o free-lance, ed a scoraggiare le cause temerarie.

Tale intervento, sarebbe in linea con i ripetuti pronunciamenti della giurisprudenza europea (in ossequio all’art. 10 della CEDU) che prevede una tutela quasi onnicomprensiva per il giornalismo, considerata l’importanza della sua funzione in una prospettiva di formazione ed informazione della pubblica opinione. Basta dire che i giudici europei riconoscono al giornalista il ruolo di “watch dog” (cane da guardia) del potere.

Valerio Vartolo