Il suo sogno era quello di andare a vivere con il boss. Di andare ad aiutarlo nel suo covo, di tenergli compagnia, gestire gli affari e fumare una marea di sigarette assieme. E’ Giovanni Risalvato. A Castelvetrano gestiva un’azienda di calcestruzzi. Lo chiamano Vanni Pruvulazzu ed è, come si legge nelle carte del processo Golem II, una delle figure centrali nella famiglia mafiosa di Castelvetrano. Per lui è arrivata la condanna a 14 anni e mezzo per associazione mafiosa.
A Castelvetrano “Pruvulazzu” era nel giro da parecchio tempo, prima con la gestione del mandamento da parte di Filippo Guttadauro, poi con Salvatore Messina Denaro, e ancora con la primula rossa di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro, il super latitante da 20 anni ricercato.
“VADO A VIVERE COL BOSS”
Di Matteo “U siccu” Risalvato era uno dei più fidati collaboratori. Ne esprimeva il suo pensiero e gli ordini agli altri affiliati, grazie ai pizzini che gli arrivavano. E a lui questa cosa qui lo gasava parecchio.
Viene intercettato in una conversazione con Maurizio Arimondi, coinvolto anche lui nell’operazione e condannato a 12 anni di carcere per l’affiliazione alla cosca di Castelvetrano. Era il 5 giugno 2007 e Risalvato ricorda nostalgico le occasioni in cui ha passato del tempo insieme al boss. Ad Arimondi confida di aver comunicato a Messina Denaro di essere pronto a lasciare la sua famiglia per trasferirsi definitivamente con lui, ma il capo di Cosa nostra risponde con i soliti pizzini. Meglio di no, Risalvato è più utile in giro. “Gliel’ho detto un mare di volte! – dice Risalvato ad Arimondi - Me ne vado con lui! Me ne sto fregando! Tanto a mio figlio non manca niente! Mia moglie lo stipendio ce l’ha…e io sono dell’avviso, Maurì, meglio un giorno da leone che cent’anni da pecora! E lui mi ha scritto, l’altra volta mi ha detto, dice ‘io ti ringrazio …e so che lo fai con tutto il cuore, però mi puoi aiutare di più da lì che… aiuto non me ne puoi dare, da lì mi puoi aiutare’”. Dopo il dispiacere scatta il momento nostalgia. Risalvato ricorda le tante sigarette fumate con Matteo. “Minchia, te la posso dire una cosa, Maurì, ah? Chissà cosa pagherei per fumarmi un pacchetto di sigarette con lui. più bello è! Minchia, una volta ce ne siamo fumati una stecca! Una stecca di sigarette ci siamo fumati! Minchia, quando abbiamo finito... minchia, ci siamo guardati in faccia... ‘minchia, quanto siamo minchioni ah!’. Minchia, una stecca c’eravamo fumati!”. Ma al di là della nostalgia, l’intercettazione per gli inquirenti è centralissima per comprendere che la figura di Risalvato è molto rilevante all’interno della consorteria mafiosa e che è uno degli anelli di congiunzione con il super latitante.
GIU' LA CRESTA
Risalvato a un certo punto ha una grana. Si chiama Nicola Clemente, ha un’impresa di calcestruzzi che gli dà il filo da torcere a Castelvetrano. Clemente fa un po’ come vuole. Sembra tenere tutti un po’ per le palle, perché Nicola ha un fratello, Giuseppe, in carcere a Torino. Deve scontare un ergastolo per mafia e non è molto stabile (Giuseppe Clemente poi si suiciderà in carcere). C’è il rischio infatti che parli. Lo ha già fatto per i suoi reati. C’è il rischio che Giuseppe Clemente cominci a collaborare con la giustizia riferendo delle cose interne a Cosa nostra di Castelvetrano e dintorni. Il fratello lo sa e fa come vuole. Usa la “pazzia” del fratello come arma a suo favore. Questo spadroneggiare però danneggia le imprese di Risalvato che chiede consiglio a Matteo Messina Denaro. Ma il boss è categorico. “Al momento non fare nulla”. “Ralvato – scrivono i Pm Marzia Sabella e Paolo Guido nella memoria d’accusa presentata al processo - confidava di avere ricevuto una precisa direttiva di soprassedere sulle controversie con il Clemente, sempre in ragione del pericolo costituito dalla possibile collaborazione del fratello; circostanza questa che avrebbe potuto comportare l’emissione di provvedimenti ristrettivi a carico dei sodali ancora in libertà. Unica strada percorribile era, dunque, a dire del vertice, svolgere una pesante concorrenza alle imprese del Clemente”. Matteo Messina Denaro in sostanza gli dice di non fare atti incendiari o cose di questo genere, “però, dice, ‘annientalo’, mi ha detto… ‘mettilo giù’… commercialmente…”. Metterlo giù commercialmente. Insomma, per una volta la mafia vuol fare della normale concorrenza. Oppure no…
UN PASTO CALDO PER MATTEO
Risalvato spesso teneva la cassa. Una volta scoprì che nei pressi della sua abitazione c’erano telecamere. Del fatto informò il boss Messina Denaro che lo autorizzo, per tranquillizzarlo, a prelevare 15 mila euro dal fondo cassa della famiglia mafiosa. Castelvetrano è in subbuglio. Se lo sentono gli uomini d’onore che sono osservati. Capiscono che non possono muoversi liberamente, che non c’è da stare tranquilli. Dopo l’operazione Golem I Risalvato teme che il prossimo sarà lui. Non sa, Risalvato che è già intercettato. Tutti sono a rischio. Anche lui, Matteo Messina Denaro. “comunque io sono convinto di una cosa... – dice Risalvato - a lui vedi che la furbizia non gli manca... se lo prendono è perché c’è qualcuno che se lo vende! Te lo dico io”.
L’assenza sul territorio di Matteo Messina Denaro, inoltre, era deleteria per la gestione della cassa della famiglia. Già nel 2007 Risalvato si preoccupava per la latitanza del Boss. Con Lorenzo Catalanotto commentavano i flussi di denaro che cominciavano a scarseggiare per mantenere la latitanza del boss. Si preoccupavano e pensavano che loro, bene o male, riuscivano a mangiare. Ma il capo è solo. “Perché noi arriviamo dentro… bene o male… dice… io sono morto di fame… vado anche da mia sorella… gli dico… cucinami un pasta e mia sorella me lo fa! che ci vuole ? tu vai a casa e te lo cuoci”. Matteo Messina Denaro deve affrontare anche spese per preservarsi dai pericoli di “tradimento” di quanti ne gestivano la latitanza. Ci pensa Risalvato a fargli avere qualcosa, qualche soldo per tirare avanti. “Quel ragazzo… non si sa! quello per mantenersi dov’è deve porgere, renzù ! e deve porgere bene, altrimenti se lo vendono!”. Se lo vendono dice Risalvato, che avrebbe dato tutto. Ma proprio tutto per stare con lui. Nel suo covo. A fumare stecche intere di sigarette.