Mi preme invitare chi fosse oggi a Roma, alle Scuderie del Quirinale, a visitare l’esposizione dedicata al primo imperatore di Roma Ottaviano Augusto che sarà aperta al pubblico fino al 9 Febbraio. La mostra merita attenzione e curiosità: si tratta, infatti, di un percorso espositivo complesso e ambizioso, coraggioso eppure misurato.
Ad una esposizione di materiali archeologici è spesso chiesta spettacolarità e un registro espositivo accattivante, la mostra “Augusto”, invece, espressamente, anche negli intenti museografici, ha rinunciato ad ogni bagliore puntando su qualità dei materiali e fedeltà ricostruttiva.
Allestita in occasione del bimillenario della morte del primo imperatore di Roma, il percorso espositivo ricostruisce la parabola crescente della sua biografia, dall’educazione al trionfo, puntualizzando epoca, contesto e persino consumi culturali e costumi della società dell’epoca: vizi privati e pubbliche virtù, avrebbe detto de Mandeville.
L’operazione svolta dai curatori della mostra è filologica e attenta: la ricerca dei materiali esposti, provenienti da raccolte di pregio, è rispettosa ed equilibratamente disciplinata nella selezione dei documenti di supporto.
L’ambizione di Ottaviano trapela fin dai suoi primi passi registrati nelle didascalie esposte nelle sale: giovane di comune aspetto e di qualità poco appariscenti agli albori della carriera militare, designato erede di Cesare per esiguità di progenie diretta maschile, assume il nome di Augusto al termine di una campagna bellica sanguinosa e vincente, intrapresa per sopprimere i nemici del padre adottivo, dopo avere guadagnato consenso popolare e fiducia del Senato.
Ottaviano compie il suo “cursus onorum” ma non eccelle in giovinezza: sarà la sua articolata e programmatica strategia comunicativa ad imporlo all’attenzione, gradualmente, della scena politica e sociale nella sua maturità.
Il culto della personalità, un costume tipico della civiltà romana, la sua in particolare, emerge nel corposo numero di ritratti esposti e che rappresenta il fitto albero genealogico della Gens Julia, sua famiglia di provenienza.
Nel percorso dell’esposizione vengono accostate per la prima volta le due immagini convenzionali di Augusto princeps: quella nei panni di un novello Doriforo policleteo, calibrata, che arringa i suoi prodi, con il braccio proteso, coperto da una corazza loricata in cui appaiono due figure della vittoria alata, e quella di pontefice, mesto, misurato, tutore della protezione di Roma.
Appare evidente dunque, nelle sale successive, come Augusto rappresenti una macchina del consenso politico attivata con lungimiranza e spregiudicatezza e sia il perno dell’Impero a cavallo fra due secoli incisivi per la storia mondiale: il primo avanti e il primo dopo Cristo.
Oculato mediatore fra le classi sociali, in saldo equilibrio fra leadeship e autorità, Augusto punta prima di tutto sulla cultura per promuovere la civiltà romana. Non si fa abbigliare da imitazioni compulsive della cultura greca e orienta Roma, finalmente, verso un linguaggio artistico autonomo, eclettico, in grado di filtrare più fonti autorevoli, utili ad irrobustire la vena fiera ancora primitiva della tradizione locale.
Grazie a Mecenate, suo consigliere artistico, Augusto osa senza forzare; egli apre le porte alla cultura classica ma favorisce anche la sperimentazione dei linguaggi, delle tecniche e dei talenti letterari.
Nella sua età, l’età d’oro della civiltà romana, sboccia, infatti, la poesia di Virgilio, Orazio, Properzio, Vitruvio, Ovidio e Livio.
Nell’arte e nell’immaginario collettivo Augusto è, e la mostra lo palesa, principalmente, visto come colui che a Roma ha portato la pace; egli sollecita l’immaginario della sua epoca, provato da anni di imprese militari sanguinose, verso un mondo privo di guerre e armi in cui concordia e giustizia regnano incontrastate e i frutti della terra crescono spontaneamente in una natura lussureggiante.
Tutto può avvenire nell’età di Augusto: persino le fiere sono colte nell’atto di allattare i propri figli come nei rilievi Grimani oggi esposti.
L’oro dell’età di Augusto sta proprio qui: nel piegare il male per far crescere il bene.
Un insegnamento che ancora oggi dovremmo rispettare, soprattutto se promosso attraverso la creatività.
Francesca Pellegrino