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27/01/2014 19:17:00

Antoniazzo Romano e la sua "turba di lavoranti"

 Fatevi un dono: non perdete questa occasione unica per veri appassionati d’arte.
Per ancora pochi, pochissimi giorni, Palazzo Barberini custodisce come uno scrigno una mostra preziosa e raffinata nella sua sontuosa cornice, una vera gioia.
Fino al 2 Febbraio è, infatti, ancora possibile visitare la mostra “Antoniazzo Romano, pictor urbis”, artista di pregio del ‘400 a Roma.
La storiografia e la critica d’arte sono state avare di note divulgative nei secoli recenti nei confronti del Rinascimento romano, il primo, quello che ha preceduto l’avvento di Michelangelo e Raffaello, e ciò ha comportato che questa mostra, dedicata al grande artista laziale, Antonio Aquili, meglio noto come Antoniazzo Romano, sia, ad oggi, la prima antologica a lui debitamente destinata.
Rammaricava la critica militante qualche anno fa una visione toscano centrica dell’arte antica italiana: numerosi talenti vissuti lungo i sentieri di un Rinascimento diffuso che ha travalicato le frontiere dell’Arno per impiantarsi con pari devozione per il vero e il classico in tutti i lembi della penisola, hanno faticato ad imporsi nei manuali scolastici e nelle coscienze collettive recenti.
Antoniazzo appartiene dunque a questa folta schiera di illustri del proprio tempo, noti però fino ad oggi solo agli addetti ai lavori. Ben venga dunque questa esposizione, pregiata per qualità dei materiali, risorse documentarie e sobrietà museografica.

Gran parte della produzione presente esposta proviene dai territori limitrofi alla città di Roma: dai luoghi di preghiera anzitutto, dagli stessi spazi per i quali l’autore li produsse.
Era Antoniazzo votato ad una pittura devozionale dalle tinte sobrie e calibrate eppure incisive, divulgativo senza scendere mai nel mondano, didascalico senza mai toccare la pedanteria, narrativo senza mai scivolare nel prosaico. I volti delle sue Madonne sono veritieri e autenticamente femminili, concentrati nella loro condizione di madre e privi di qualsiasi ostentazione estetizzante neoplatonica, in gran voga al tempo a Firenze.
Santi, uomini e devoti si ritagliano uno spazio dall’incarnato naturale per incantare i fedeli con una pittura a cavallo fra autenticità e compassione, eleganza e verità.
Antoniazzo riusciva, con grazia ed equilibrio, ad armonizzare spunti rinascimentali moderni alla tradizione arcaizzante della pittura devozionale, privilegiando, dunque, un linguaggio morbido, suadente, garbato e persuasivo nei colori e nelle forme che coniugava intelligentemente agli spunti raccolti da diversi artisti presenti a Roma per le grandi committenze papali: Benozzo Gozzoli, Ghirlandaio e Perugino.
Diceva di lui Giorgio Vasari ne Le vite: “Antonio, detto Antoniazzo, […] dei migliori che fussero allora in Roma”.
Facoltoso, ambito, ricercato, Antoniazzo Romano si muoveva con disinvoltura fra le numerose committenze sovente di pregio, accompagnato da un drappello corposo di aiutanti, allievi, collaboratori, la sua “turba di lavoranti”, che assecondava con grazia il suo disegno, il suo tratto: un vero imprenditore di sé e dell’arte anzi tempo.
Una particolare attenzione merita all’interno della mostra la “Madonna del Latte”, proveniente dal Museo Civico di Rieti, opera nella quale Antoniazzo sembra anticipare con lungimiranza, nel trono, alcune ardite architetture immaginarie degli spazi classicisti del grande Sanzio.

Francesca Pellegrino