Una volta c’erano le Cene di San Giuseppe, quelle autenticamente devozionali. Il rituale era sempre il medesimo. Di solito, tutto partiva da un voto fatto da una famiglia devota per implorare una grazia al santo Patriarca o per una grazia ricevuta. L’allestimento della Cena non era cosa di poco conto. Comportava anche un notevole impegno finanziario. Le condizioni economiche però non erano condizionanti. Era obbligatorio infatti far la questua, andando di casa in casa, spesso a piedi scalzi. Anche i componenti di una famiglia agiata si sottoponeva all’atto “umiliante”, ma altamente simbolico, dell’elemosina. Tutti contribuivano. In denaro, ma anche in natura e sotto forma di mano d’opera. Non c’è da preparare infatti solo il “ricco” pranzo costituito, secondo la tradizione più ortodossa, da ben 101pietanze. La costruzione della struttura richiede giorni di lavoro e competenza specifica. Riproduce una chiesetta in vago stile barocco, e vi provvedono gli uomini, mentre gli addobbi e la lavorazione del pane vengono affidati alla raffinata abilità manuale femminile. All’interno della “basilichetta” troneggia un altare addobbato con vasi, fiori, arance, una boccia cristallina con dentro alcuni pesciolini rossi e il trionfo dei pani in grande formato, artisticamente cesellati, che esaltano i simboli ermetici della cristianità, il lavoro, la famiglia. E’, insomma, l’adorazione subliminale del pane. inteso come compenso finale di un lungo anno di dure fatiche ma anche, attraverso la figura di San Giuseppe, l’esaltazione inconscia del lavoro umile e silenzioso affrontato con serena costanza per amore dei figli e della comunità. Questo era e rimane in ancora oggi il vero fascino della CENA. Il tutto, fino agli settanta, avveniva spontaneamente. L’allestimento degli Altari e la loro visita rimaneva solo ed esclusivamente un fatto religioso. Solo occasionalmente qualche cultore di tradizioni etnoantropologiche armato di reflex saliva in collina per fissarli nella pellicola. L’evento cominciò a diventare un’attrazione turistica. grazie ad una felice intuizione dell’allora presidente della Pro Loco, dottor Francesco Bivona. Da manifestazione spontanea, nel corso degli anni, è infine diventato un appuntamento organizzato con il patrocinio del Comune che provvede a scucire i soldi. Con il passare degli anni, alla Pro-Loco si sono aggiunte altre associazioni, ognuna con un compito specifico. Accanto quindi alle Cene, definite devozionali per distinguerle da quelle messe su dalle varie associazioni, si sono sviluppate una molteplice serie di iniziative collaterali. Convegni, esposizione di prodotti tipici locali, mostre artistiche di vario genere. Se poi si aggiungono le fiere, mostre, convegni, musei di tutto il mondo, da Parigi e Milano a Tokio e New Jork dove i Pani sono stati esposti, il quadro è completo per capire il motivi per i quali il mese di marzo sia diventato un appuntamento turistico, inserito nelle agende dei tour operator, di un certo prestigio. La città di Salemi sembrava finalmente avere trovato nella kermesse annuale l’occasione per un suo rilancio anche sul piano economico. Non credo di sbagliare se dico che sulla scia del successo della manifestazione, si sono aperti via via nuovi ristoranti, bar, bed and breakfast, pensioni. Ogni 19 del mese di marzo diventava un esame per l’Amministrazione in carica. Aumentava o diminuiva la popolarità del sindaco in carica. Si è calcolato che nelle edizioni più fortunate si sia registrata la presenza di diverse decine di migliaia di turisti. Da qualche anno però le cose non sono andate per il verso giusto. Lo scorso anno, a causa di uno inaspettato blocco dei mezzi della raccolta dei rifiuti, per una strana “mancanza” del carburante, si avvertirono i primi scricchiolii. Quelle montagnole di rifiuti crearono un danno d’immagine alla città difficilmente risarcibile, che grida vendetta. Quest’anno invece il clamoroso flop, che ha lasciato senza parole gran parte della cittadinanza, si deve all’assoluta assenza di organizzazione e di coordinamento. Per onestà intellettuale, non mi sembra corretto sparare sulla Commissione Straordinaria. I suoi componenti non hanno la benché minima idea del tempo necessario per preparare una Cena normale. Figuriamoci per quella che annualmente il Comune allestisce all’interno della Chiesa di San Giuseppe. Qualcuno non ha provveduto ad avvertire il prefetto Benedetto Basile che convocare le Associazioni nel mese di febbraio era solo tempo perso. L’esiguità delle risorse ( basti pensare che quest’anno la somma disponibile era di 4000 euro, mentre gli altri anno solo per quella comunale se ne spendevano 8000) è solo in parte una giustificazione. E’ mancato tutto. Capacità organizzativa, nessuna forma di pubblicità, la chiesa di San Giuseppe chiusa. Persino il tradizionale Arco all’ingresso della Via Amendola scomparso. Illuminazione scarsissima. La via Matteotti rimasta al buio ( ma chi fa saltare i timer? ). Per non parlare dell’apertura dei Musei, anche nella giornata del 19, effettuata con orari da ufficio. I visitatori, fortunatamente pochi, sono rimasti fuori. Non hanno avuto la possibilità di visitare l’interessante “Mostra dei pani rituali di Salemi”, allestita dall’Associazione Xaire di Leonardo Lombardo e Chiara Caradonna. Il risultato sconsolante è stato sotto gli occhi di tutti. La chiesetta di Santa Annedda, un vero gioiello d’arte, sbarrata. Chi ne possiede le chiavi si è giustificato dicendo che non ha il dono dell’ubiquità. Già. Perché, a quanto pare, è in possesso anche delle chiavi di Sant’Agostino. E’ possibile che in una città che vuole puntare sul turismo accadono queste cose? Non solo è possibile, ma appare normale. Come si vede, grande è la confusione sotto i cieli di Salemi, anche su questo tema. Abbiamo toccato il fondo, mi dice un esercente della Via Amendola. La nuova Amministrazione dovrà scegliere subito. Lasciare che la ricorrenza di San Giuseppe ritorni ad essere quella che da secoli era sempre stata. Una cerimonia corale, cioè, di grande devozione affidata solo ed esclusivamente a chi sente di invocare o ringraziare il Patriarca per grazia da ricevere o ricevuta. Oppure decidere di istituzionalizzare l’evento ritenendola come una occasione unica per scommettere di nuovo sulla carta del turismo, ma con modi e mezzi che non siano estemporanei e di corto respiro. Seguendo l’esempio virtuoso di tanti altri paesi, che certamente, sul piano culturale, monumentale, artistico e paesaggistico, hanno da offrire molto meno di quanto può Salemi.
Franco Lo Re