È un pezzo di Spagna in Sicilia, un impasto di sacro e profano, di sfarzo e di fatica. Un happening religioso che va avanti per quasi 24 ore, dalle due del pomeriggio del Venerdì Santo alla mattina dell’indomani, quando i «massari» che hanno portato a spalla le pesantissime statue religiose barcollano di stanchezza e di ebbrezza. Almeno una volta nella vita, bisogna andare a Trapani per partecipare ai Misteri, processione attestata dal 1612 ma che affonda le sue radici in epoca medievale, alle sacre rappresentazioni di episodi di fede tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Sin dal XV secolo in Spagna il «Teatro de los Misterios» offriva al suo popolo queste scene. I cattolicissimi re catalani e castigliani - oltre ai palazzi barocchi, ai cognomi da hidalgo e al terrore di quattro secoli di Inquisizione - lasciarono in Sicilia anche le processioni della Settimana Santa.
Quella dei Misteri di Trapani è la più celebre, sicuramente la più estenuante, un rito collettivo di espiazione e rigenerazione durante il quale si piange, si prega, si ride, si balla, si beve. Per le strade della città sfilano, portati a spalla, venti gruppi statuari che rappresentano le tappe della Via Crucis, dal saluto a Maria fino al trasporto al Sepolcro. Sono statue antichissime, scolpite in legno e gravide di gioielli di oro e di argento, che i «massari» fanno ondeggiare a ritmo mentre la banda intona le marce funebri del Venerdì Santo. Una celebrazione che abbatte simbolicamente l’alternanza giorno-notte per istituire il tempo continuo e ciclico del rito. Sfilano diciotto scene più l’urna del Cristo morto e la statua dell’Addolorata, affidate ciascuno a una maestranza: fruttivendoli, muratori, pescatori, macellai, tutti in grande competizione.
L’occasione per immergersi nei riti della Pasqua che esplodono un po’ in tutta l’Isola, dalle Madonie a Caltanissetta; dalla «Grande settimana» nelle comunità albanesi alle architetture di palme erette nelle strade di San Biagio Platani, nell’Agrigentino; dalla solennità delle processioni a Enna alle bande che sfilano nei vicoli di Palermo. Tradizioni, religione, paganesimo, passione, spettacolo, dolci tipici a base d’uovo: tutto insieme, in un’Isola che diventa palcoscenico. «A Pasqua - scriveva Gesualdo Bufalino - ogni siciliano si sente non solo spettatore ma attore, prima dolente, poi esultante, d’un mistero che è la sua stessa esistenza». A Trapani la stagione offre già sole e tepore. D’obbligo un giro tra le chiese e le piazze del centro storico, nelle botteghe degli antichi maestri del corallo e dell’argento, sul lungomare restaurato di recente. Ma è bello anche perdersi tra i vigneti del comprensorio, fino ad arrivare alle saline con i vecchi mulini. O ancora, dopo breve navigazione, alle isole Egadi, con gli antichi stabilimenti per la mattanza dei tonni. Vita e morte, musica e lacrime, gioia e lutto. C’è il ciclo dell’esistenza umana, e della natura intera, nella Pasqua trapanese. E la Resurrezione è apoteosi, affermazione vittoriosa dell’ordine sul caos, della luce sul buio. Ben prima della simbologia cristiana, in Sicilia si celebra la festa millenaria dell’uomo che saluta il risveglio della natura.