L’export siciliano fa sembrare meno amari i dati sull’economia dell’Isola, registrando il miglior risultato tra le regioni del Mezzogiorno. Il 3% delle esportazioni nazionali provengono da imprese siciliane, che fanno meglio delle altre del Sud Italia. Il dato arriva dal "check-up territorio - dossier Sicilia", elaborato dall'Area Politiche territoriali, innovazione, education di Confindustria e presentato in Confindustria Sicilia. Ma non c’è nulla da esultare, perché gli indicatori di competitività e attrattività del territorio vedono la regione in fondo alla classifica, con un divario abissale tra Centro Nord e il Sud.
Secondo i valori estratti dall’ultimo censimento Istat, quasi tutte le imprese siciliane (il 97% per l’esattezza) ha un numero di addetti inferiori a 10. Nonostante questo, nonostante le piccole dimensioni ci si è dati da fare."Le aziende non sono rimaste con le mani in mano e, piuttosto che piangersi addosso, si sono attivate per cercare nuovi mercati", commenta il presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante.
"A far registrare i numeri migliori - aggiunge - non è infatti l'oil (il cui export è diminuito del 23%), ma gli altri comparti, dall'elettronica al farmaceutico, dai prodotti chimici all'agroalimentare, che hanno fatto registrare un incremento del 14 per cento. Pensate quindi che cosa sarebbe questa terra se fossero create le condizioni per competere se potessimo contare su politiche industriali che non ostacolino chi fa impresa, ma lo incentivino, così come accade nei paesi concorrenti. Le potenzialità sono immense".
Il settore manifatturiero è quello che fa entrare la Sicilia nella top ten nazionale. Sono 23 mila le imprese attive in questo settore, certamente molto indietro rispetto alle 84 mila della Lombardia prima in classifica. Ma non bisogna rilassarsi. Perché il segno meno arriva nei dati sulla densità imprenditoriale. In Sicilia ci sono appena 86 imprese ogni mille abitanti, ultima in Italia. La valle d’Aosta, che è prima, conta 150 imprese su mille abitanti. Per Montante occorre una terapia d'urto, intervenire con urgenza per “realizzare alcune delle riforme strutturali, sul progressivo ridimensionamento della spesa corrente, tagliando gli incentivi improduttivi e riducendo il peso del pubblico sull'economia, rendendo efficiente la Pubblica amministrazione e riportando la pressione fiscale a livelli accettabili. Contemporaneamente è necessario porre grande attenzione alle Politiche di sviluppo, sia nel breve, sia nel lungo periodo. Solo così, infatti, sarà possibile ridurre la polarizzazione tra imprese competitive e imprese in difficoltà, contribuendo a riaprire i rubinetti del credito, favorendo gli investimenti, promuovendo l'occupazione e sostenendo l'internazionalizzazione. Ma anche immettendo nel circuito le risorse europee che potrebbero essere rapidamente trasformate, nel prossimo triennio, in investimenti pubblici e privati".