dal nostro inviato Leonardo Agate In occasione del settantesimo anniversario della cacciata dei nazi - fascisti da Casole D'Elsa, ho assistito ad un'interessante commemorazione nella sala consiliare. Ho partecipato a manifestazioni simili in altri anni e altri posti. Questa mi é sembrata sobria ed interessante, soprattutto per i ricordi raccontati da persone che furono spettatori, anche se giovinetti, di quell'avvenimento. La Storia é fatta di documenti, dei racconti di chi ha visto e di interpretazioni. Mi ha colpito la considerazione di una signora, che ha rilevato che la colpa di quello che avvenne non é da addebitare tanto ai soldati che operarono, quanto ai politici che li dirigevano, e li avevano mandati a combattere. E' anche il mio pensiero. Penso pure che non si può fare di tutte le erbe un fascio, e che ci sono stati comandanti e militi che ci hanno messo di loro una ferocia che la maggioranza non ebbe.
Il bombardamento alleato di Casole, durante l'avanzata dell'esercito liberatore e l'arretramento del fronte degli occupanti, fu l'avvenimento che produsse maggiori danni. Ma non poteva andare diversamente. La guerra é la guerra, e si vince o si perde avanzando o arretrando. Gli alleati che volevano liberare l'Italia non avevano altri mezzi se non quelli delle armi. Combattevano dalla parte giusta, e per vincere dovevano usarle. Ideologicamente e materialmente si combatteva per la liberazione dall'oppressione nazi - fascista e per la libertà. Nulla di più nobile, eppure bisogna fare dei distinguo nella guerra civile che insanguinò il Paese. I partigiani non erano tutti di sinistra. Ci stavano pure i popolari d'ispirazione cattolica e i liberali. Mentre i popolari e i liberali si ponevano l'obbiettivo della liberazione, per la ricostruzione democratica, i comunisti intendevano anche instaurare la dittatura sovietica. Furono pure commesse atrocità gratuite da partigiani rossi, a danno di veri o presunti nemici, non equiparabili per la quantità alle stragi della parte opposta. Per fortuna, la lotta fratricida si acquietò con la ricostituzione e l'operatività dei partiti politici. Da tempo gli storici cosiddetti revisionisti hanno accertato tutto quanto.
La Storia, si sa, la scrivono i vincitori. Vinsero, per fortuna, gli alleati e i partigiani, e questi ultimi la scrissero a loro uso e consumo. Ma il tempo é galantuomo, e da alcuni decenni, a partire grosso modo dall'insegnamento di Renzo De Felice, si é riletto il filmato degli avvenimenti della "liberazione". Non più guardata come quella panacea che ci avrebbe riscattato da ogni male, ma obbiettivamente osservata per quello che é stato: una lotta per difendere, da una parte, la libertà, e dall'altra parte un'inaccettabile dittatura. Solo che nel seno della resistenza, anzi in una parte di essa, quella rossa, covava il germe di una nuova nefandezza: asservire l'Italia al dominio di Mosca. Anche se allora, in quegli anni tormentati, non sembrava che l'instaurazione del comunismo fosse un rimedio peggiore del male che si voleva estirpare. L'URSS era stato baluardo contro il nazismo, e vittoriosa nella guerra come gli altri alleati. Ma, a distanza di settant'anni, non si può dire che guardare a Mosca fosse come guardare a un avvenire radioso. Per fortuna, questo ulteriore intento non si realizzò. Resta, a tutti i partigiani, il merito di aver contribuito alla vittoria degli alleati e a riscattare l'animo della nazione. Per il resto, riguardo alla speranza dei partigiani rossi di andare al potere con il simbolo della falce e martello, fu un'illusione mancata, che la Provvidenza ci ha risparmiato, vista la fine del comunismo reale a Mosca.