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27/07/2014 06:30:00

Diario da Israele/6. La sinistra e gli intellettuali. Il posizione di Pasolini

Che colpe ha Israele verso i palestinesi? Chi non vuole che la pace sia sancita definitivamente? E perché si nega ad Israele il diritto di difendersi? Cosa è la questione palestinese? Perché non si riesce a trovare una soluzione condivisa per entrambi gli Stati? E perché questo livore, che spesso diventa odio, non solo da parte araba, ma anche da parte di media e intellettuali progressisti, verso Israele, l’unica democrazia avanzata di quella regione? Continua il percorso di Patrizia Bilardello lungo la storia del conflitto Arabo-Israeliano.

Un discorso a parte merita la presa di posizione di aree di sinistra che riempiono il web e i social network di invettive contro Israele. Perché sono sempre pronti a scagliarsi contro Israele, ma non vedono mai, come nella Striscia di Gaza, ci sia una dittatura islamica che reprime la libertà di pensiero o, come successe durante l’intifada, giustiziava i dissidenti, cioè, coloro che erano favorevoli ad un trattato di pace con Israele? In quel periodo almeno 300 persone furono giustiziate. E, anche adesso, sono molte le persone che vivono a Gaza che non amano Hamas e non sono d’accordo con la loro posizione estremistica, ma, chiaramente, non possono esprimere il loro pensiero liberamente. Come accade nel democratico Stato di Israele, dove molti sono le voci di intellettuali e gente comune che critica le decisione, spesso troppo dure, dei governi di turno. Come mai la sinistra che aveva fatto della lotta per i diritti civili il suo cavallo di battaglia, quando c’è di mezzo Israele, difende i dittatori che governano con la paura?
Nel 1956, con la guerra per il canale di Suez, l’Urss (impegnata a reprimere la rivoluzione ungherese) si schierò con decisione dalla parte di Nasser contro Israele per contrastare l’egemonia degli Stati Uniti. Eravamo in piena guerra fredda e Israele si trovò in mezzo alla guerra tra le due superpotenze. D’altra parte, gli arabi possedevano il petrolio ed il gas. Il Pci prese le stesse posizioni dell’URSS. Tra i comunisti la simpatia per Israele cominciò ad attenuarsi. Già nel febbraio del ’57 sull’«Unità» si cominciò a parlare di «mire espansionistiche» dello Stato israeliano. Così, quando si giunse alla «guerra dei Sei giorni», a difendere – da sinistra – Israele (repubblicani a parte) restò quasi solo il socialista Pietro Nenni.
La deflagrazione tra Israele e il Partito comunista italiano avvenne tra la fine di maggio e i primi giorni di giugno del 1967. A fare da detonatore per l’esplosione, fu, come dicevamo, la «Guerra dei Sei giorni» con cui lo Stato ebraico reagì ad una minaccia di distruzione e sconfisse il fronte arabo, che rappresentava una popolazione venticinque volte superiore a quella israeliana. L’Unione Sovietica, oltre a non aiutare Israele, istiga e arma i Paesi arabi che vogliono distruggerlo. Furono, quelli, giorni effettivamente di grande imbarazzo per quei pochi, pochissimi, intellettuali e dirigenti del Pci che, pur tra dubbi e cautele, vollero schierarsi dalla parte di Israele.Il direttore dell’«Unità» Gian Carlo Pajetta, che si era schierato senza esitazioni dalla parte dell’egiziano Nasser, divenne bersaglio di lettere oltremodo polemiche da parte di ebrei. Scrisse Mario Pontecorvo: «Io non credo che lei nell’animo possa veramente appoggiare Nasser che, è noto, distribuisce il Mein Kampf tra i suoi ufficiali». Stesso genere di argomentazione - fu quello usato da Pier Paolo Pasolini.


“Compagni, come non capite?” – (Questo il titolo di un articolo di Pier Paolo Pasolini ).
Pier Paolo Pasolini visitò Israele nel 1963. Ne trasse un'impressione profondamente diversa dalla vulgata che veniva diffusa dal PCI in quegli anni, dall'Unità in particolare. Il suo spirito indipendente non gli impedì di raccogliere quegli appunti, attenti alla realtà israeliana e altrettanto critici sul mondo arabo, per pubblicarli poi in un articolo che uscì su Nuovi Argomenti, n°6, aprile-maggio 1967. Pasolini non era un sionista, lo si vede leggendo il suo articolo, era una persona intelligente che si rendeva conto della realtà. Non aveva nemmeno pregiudizi anti arabi, lo scrive e lo dimostrerà poi attraverso la sua opera cinematografica. Più semplicemente era un uomo libero dai condizionamenti ideologici, quindi capace di vedere da quale parte stavano la ragione e il torto. “Ora, in questi giorni, leggendo l’Unità ho provato lo stesso dolore che si prova leggendo il più bugiardo giornale borghese. Possibile che i comunisti abbiano potuto fare una scelta così netta? Non era questa finalmente, l’occasione giusta per loro di «scegliere con dubbio» che è la sola umana di tutte le scelte? Il lettore dell’Unità non ne sarebbe cresciuto? Non avrebbe finalmente pensato – ed è il minimo che potesse fare che nulla al mondo si può dividere in due? E che egli stesso è chiamato a decidere sulla propria opinione? E perché invece l’Unità ha condotto una vera e propria campagna per «creare» un’opinione? Forse perché Israele è uno Stato nato male? Ma quale Stato, ora libero e sovrano, non è nato male? E chi di noi, inoltre, potrebbe garantire agli Ebrei che in Occidente non ci sarà più alcun Hitler o che in America non ci saranno nuovi campi di concentramento per drogati, omosessuali e ebrei? O che gli ebrei potranno continuare a vivere in pace nei paesi arabi? Forse possono garantire questo il direttore dell’Unità, o Antonello Trombadori o qualsiasi altro intellettuale comunista? E non è logico che, chi non può garantire questo, accetti, almeno in cuor suo, l’esperimento dello Stato d’Israele, riconoscendone la sovranità? E che aiuto si dà al mondo arabo fingendo di ignorare la sua volontà di distruggere Israele? Cioè fingendo di ignorare la sua realtà? Non sanno tutti che la realtà del mondo arabo, come la realtà della gran parte dei paesi in via di sviluppo – compresa in patte l’Italia – ha classi dirigenti, polizie, magistrature, indegne? E non sanno tutti che, come bisogna distinguere la nazione israeliana dalla stupidità del sionismo, così bisogna distinguere i popoli arabi dall’irresponsabilità del loro fanatico nazionalismo? L’unico modo per essere veramente amici dei popoli arabi in questo momento, non è forse aiutarli a capire la politica folle di Nasser, che non dico la storia, ma il più elementare senso comune, ha già giudicato e condannato?
Quelli che lui definiva «intellettuali marxisti» – ad eccezione dei radicali ricostituiti sotto la guida di Marco Pannella – si schierarono pressoché all’unanimità su posizioni simili a quelle del direttore dell’Unità. Persino ebrei comunisti sostennero, la validità della posizione filoaraba dell’Urss e di altri Paesi socialisti, affermando che Israele «aveva attaccato per risolvere una crisi economica ormai evidente». Tra le poche eccezioni, quelle pur sorvegliatissime del giurista Luciano Ascoli e di Umberto Terracini, entrambi convocati «privatamente» dai vertici del Pci per rendere conto delle loro posizioni. Mentre è certamente vero che non fu Israele ad attaccare, ma ad essere attaccato. La sinistra quasi per intero sposò la causa palestinese. Quella extraparlamentare, all’epoca influente, appoggiò i fedayn più radicali. Nel volgere di pochi anni non valse più, mai, neanche l’evidenza dei fatti. Israele aveva sempre torto. Sempre. Nel 1973, in occasione della guerra dello Yom Kippur, dopo l’attacco dell’Egitto «l’Unità» sostenne che il «vero aggressore» era Israele per il fatto che non aveva ancora «restituito i territori occupati nel ’67». Ma qualcosa iniziava a cambiare. Giorgina Arian Levi, nipote acquisita di Palmiro Togliatti denuncia, nel 1977, la propaganda contro Israele in Unione Sovietica, propaganda che, scrive, «sorprende per l’assenza di concrete argomentazioni politiche e per lo sconfinamento dall’antisionismo all’antisemitismo». «La sedimentazione antisemita che risale alla Russia zarista», prosegue, «non è del tutto morta, anche sessant’anni dopo la gloriosa rivoluzione d’Ottobre».
Discorso a parte merita poi un’altra ribellione allo spirito dei tempi. È quella del Partito radicale di Pannella. Gianfranco Spadaccia, in un congresso, polemizza apertamente con quanti hanno la tentazione di sposare le iniziative filo palestinesi dell’ultrasinistra: «Vogliamo costruire una politica che abbia come bussola di orientamento… i diritti umani, la democrazia; basta battersi romanticamente per le lotte di liberazione che poi producono oppressioni più atroci». I radicali, furono i primi a difendere le ragioni israeliane usando un tassello centrale cioè quello dei diritti umani». Su questa base, «il sostegno a Israele divenne un tratto distintivo del Pr negli anni di Pannella, in dissenso con la politica di Craxi tutta a favore di Arafat. Ma il clima generale in Italia restava quello di cui si è detto prima. Per la sinistra, quasi tutta, gli israeliani dovevano sempre essere criticati.
Nel 1982, quando Israele invade il Libano, scatta immediata e unanime la condanna da parte dell’intera sinistra. Per una strana proprietà transitiva tali «critiche» vengono estese a tutti gli ebrei. Un corteo sindacale depone una bara sui gradini del Tempio di Roma. Poco tempo dopo, un attentato alla stessa sinagoga della capitale provoca la morte di un bambino: Stefano Taché. Questo orribile delitto provoca un soprassalto: da quel momento cambia qualcosa di importante, di molto importante. Viene allo scoperto un sentimento – fino ad allora quasi nascosto – di «appartenenza» orgogliosa al popolo ebraico: Natalia Ginzburg, Furio Colombo, Anna Rossi Doria, Fiamma Nirenstein Mario Pirani, Anna Foa, Janiki Cingoli, Clara Sereni, Gabriele Eschenazi rifiutano una volta per tutte di recitare la parte degli «ebrei buoni» chiamati sul palco quando c’è da accusare Gerusalemme.
Un ruolo fondamentale nell’accompagnare questa presa di coscienza lo svolge Piero Fassino che imprime al Pci una svolta nella politica estera che implica l’eliminazione del pregiudizio, una maggiore attenzione alle ragioni di Israele e ai torti del modo arabo: «Non si è posta sufficientemente in rilievo la centralità della questione della democrazia e dei diritti umani nei paesi mediorientali», riconosce, echeggiando le antiche posizioni del Partito radicale.
Che i mezzi di informazione siano in misura preoccupante schierati contro Israele non è una novità. La menzogna, a furia di essere ripetuta, può persino diventare una verità, come diceva uno che se ne intendeva, il famigerato dottor Goebbels, l’inventore della propaganda nazista. Anche in questi giorni girano foto nei social network che sono dei falsi, spesso anche realizzati male, dove si vedono, morti e sofferenze. Certo ci sono state persone uccise, bambini e famiglie intere distrutte. Ma è l’uso che si fa di queste foto è da condannare, perché, esattamente come facevano i giornali 50 anni fa, creano solo incitamento all’odio, senza spiegare perché. A parte il fatto che spesso sono notizie false e create ad hoc, come i tristemente famosi “ Protocolli”. Uno dei casi recenti più esemplari è quello di Mohammed Al-Dura, il bambino palestinese, ripreso tra le braccia del padre durante un conflitto a fuoco tra soldati israeliani e palestinesi all’incrocio di Netzarim prima dello scoppio dell’Intifada. Un caso diventato famoso in tutto il mondo grazie a France 2.
Il fatto accadde il 30 settembre 2000, quando un corrispondente di France2, mandò in onda un filmato nel quale si accusava apertamente i soldati israeliani di avere colpito in piccolo Mohammed causandone la morte. Quell’immagine, il volto disperato del padre accovacciato per terra, nel tentativo di ripararsi dalle pallottole, con il figlio tra le braccia, fece il giro del mondo, giornali e Tv la diffusero, e continuano a farlo, per dimostrare la “crudeltà” dell’esercito israeliano. In Tunisia venne emesso addirittura un francobollo commemorativo, e in molte città nei paesi arabi sono stati eretti monumenti alla sua memoria, un simbolo del popolo palestinese vittima della brutalità israeliana. Quelle immagini aggiunsero fuoco all’inizio dell’intifada.
Peccato che il servizio non raccontasse il vero, una verità che è venuta fuori dopo le inchieste in Israele, ma che sarebbe rimasto un documento burocratico se un francese coraggioso, Philippe Karsenty, non avesse sporto denuncia contro France 2 e il suo corrispondente da Israele. L’inchiesta appurò infatti che i colpi non potevano essere partiti dai soldati israeliani, perché questa spiegazione era in contrasto con la loro postazione, da lì non avrebbero potuto colpire Mohammed e suo padre, mentre era sicuro che i colpi potevano essere arrivati da parte palestinese, alla quale poteva essere utile, come poi i fatti hanno dimostrato, creare un caso internazionale che danneggiasse l’immagine dello stato ebraico. France 2 ha sempre rifiutato di far conoscere l’intero filmato – la trasmissione andata in onda durava 3 minuti, mentre l’intera registrazione delle riprese era di 45 – dalla quale si sarebbe potuto verificare come i fatti si erano realmente svolti. In appello la corte visionerà l’intero servizio, dal quale si vede chiaramente che non c’èra stato nessun ferito o colpito a morte, incluso Mohammed, che alla fine delle riprese è vivo, senza dare nessun segno di essere stato colpito. In realtà, le riprese erano state fatte da un cameraman palestinese di Gaza. Nell’edizione “lunga” del film si capisce che l’intero servizio è il risultato di vari collages, non una ripresa unica del fatto, e che non c’è nessuna dimostrazione che il ragazzo sia morto. Nelle ultime sequenze risulta vivo, visto che parla con il padre. Persino quando viene presentato come ucciso, si vede chiaramente che muove le braccia.
Anche ora dilagano nei social network le immagine terribili di bambini e civili uccisi. L’intento di Hamas è quello di fomentare l’odio verso il “crudele” Israele. Israele ha lanciato avvisi al popolo palestinese, avvisandolo degli imminenti attacchi. Perché non sono i civili palestinesi gli obiettivi dell’esercito israeliano. Al contrario, Hamas, li obbliga a tornare indietro e a non fuggire, dicendo che quelle di Israele sono bugie e che nessuno li bombarderà. Se poi, ci saranno morti e feriti, li potrà sempre usare per divulgare ed incitare all’odio contro Israele. D’altra parte, anche i terroristi islamici usano donne giovani per diffondere morte e terrore, non proteggono certo il loro popolo.
Mi chiedo come sia possibile, per un giornalista, non rendersi conto che grande responsabilità abbia nel divulgare notizie false che incitano all’odio razziale e alla guerra. Che da entrambe le parti ci siano stati episodi di fanatismo e prevaricazioni, è indubbio. Che spesso anche i soldati israeliani abbiano prevaricato è altrettanto vero. Ma i fanatismi vanno fermati. E non pubblicare notizie false che alimentano sentimenti di odio e di vendetta, è uno dei modi per farlo. Ci sarà sempre qualche “utile idiota” che scriverà sui muri “morte agli ebrei” o “morte ai gay”, ai negri, ai terroni, ecc. ecc. C’è sempre un “diverso” da noi su cui riversare le nostre frustrazioni, la nostra rabbia, tutto quel sentimento di odio irrazionale che si chiama “razzismo”.
Il sole sta tramontando sulle spiagge di Gaza e Tel Aviv. E’ il momento più dolce del giorno, quando la temperatura scende e la gente assapora il profumo del mare. È l’ora che precede la cena, è il momento che le mamme portano i loro bimbi a passeggiare sulle spiagge. Ma i bambini di Gaza e di Tel Aviv non giocano nelle spiagge, sono rinchiusi nei loro rifugi ad aspettare che le trattative di pace prendano il via, che il leader di Hamas, dal Qatar dia le sue direttive, che l’esercito di Israele si ritiri. Mentre sorgeranno altri soli e ci saranno altri tramonti. Con spiagge vuote. In attesa che gli aquiloni tornino a volare.

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Patrizia Bilardello