Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
08/10/2014 06:15:00

I cugini Marino di Paceco e la strage di Brescia. Otto anni e ancora nessun colpevole

"Otto anni, cinque processi, due ergastoli, due annullamenti della Corte di Cassazione, un nuovo processo d'appello, a tutt'oggi nessun colpevole":
Basterebbero le parole di Mario Cottarelli, fratello dell’imprenditore ucciso il 28 agosto 2006, per riassumere i contorni di una vicenda che ha dell’incredibile.
Era il 28 agosto 2006 quando l’imprenditore bresciano Angelo Cottarelli veniva trovato agonizzante presso la sua villa a Urago Mella, quartiere residenziale alla periferia di Brescia. Affianco a lui, i corpi già privi di vita della moglie Marzenne Topas (41) e del figlio Luca (17).
I soccorsi non riuscirono ad impedire la morte dell’uomo, deceduto all’ospedale civile di Brescia senza poter fornire indicazioni utili agli inquirenti.
Per Brescia si trattava dell’ennesima strage in poco tempo, dopo l’uccisione di altre quattro persone nello stesso periodo. Le indagini, pertanto, si svolsero in un clima di particolare tensione e paura. Scartate le ipotesi relative ad una rapina andata male, da subito l’ipotesi più accreditata fu quella di un regolamento di conti.
Le investigazioni presero una svolta il 15 settembre quando vennero arrestati i due cugini Vito e Salvatore Marino, originari di Paceco e legati a Cosa Nostra in quanto rispettivamente figlio e nipote del boss Girolamo Marino, ucciso nel 1985 da Matteo Messina Denaro.
I due vennero accusati dell’omicidio della famiglia bresciana a causa di motivi economici.
Pare, infatti, che i due cugini si rivolgessero a Cottarelli affinché quest’ultimo, attraverso la propria società, emettesse delle fatture false per gonfiare il giro d’affari di alcune cantine siciliane al fine di ottenere fondi dalla Regione Sicilia e dall’Unione Europea. In cambio Cottarelli riceveva favori, regali ed un ritorno economico. Una truffa attorno ai 12 milioni di euro.
Purtroppo per i due cugini, però, Cottarelli aveva deciso di uscire definitivamente dal giro e di non favorire più il loro business illecito.
Questa la tesi della Procura: in cerca di una spiegazione, i due cugini si diressero verso la casa dell’imprenditore per chiarire personalmente la questione ma, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, le cose presero una piega inaspettata. A seguito di un violento diverbio tra le parti, un proiettile partì dalla pistola di uno dei due cugini uccidendo l’imprenditore bresciano; a quel punto, non restava altro che far fuori anche i familiari per evitare testimonianze scomode.
L’accusa basò la propria tesi su alcune intercettazioni telefoniche tra i cugini e Cottarelli e sul ritrovamento di residui di polvere da sparo sull’auto noleggiata dai due a Linate. A ciò si aggiunse la testimonianza di Dino Grusovin, architetto triestino, che puntò il dito contro i due imputati ed ammise di essere stato a casa Cottarelli quella mattina, ma di non aver partecipato all’esecuzione poiché legato al tavolo della cucina.
Nonostante il quadro sembri essere piuttosto chiaro, il processo che seguirà risulterà essere uno dei più controversi ed emblematici degli ultimi anni in Italia. Inizialmente assolti in primo grado nel 2008, Vito e Salvatore Marino vennero successivamente condannati all’ergastolo in appello nel 2010. Nel 2012, però, la Corte di Cassazione annullò la condanna e li proclamò innocenti. Nello stesso anno, la Corte d’Assise d’appello di Milano condannò nuovamente i due all’ergastolo.
Si arriva, così, all’ennesimo colpo di scena: in data 1 ottobre 2014, la sentenza viene annullata ancora una volta dalla Corte di Cassazione, che ha disposto un nuovo processo da tenersi ancora a Milano“Mi sento sfiduciato, deluso e stanco. Ero convinto di essere arrivato all'ultimo atto e invece la vicenda non è finita. Dopo otto anni uno deve avere il diritto di conoscere la conclusione di un processo. In Italia non è così. Così dovremo aspettare altri anni prima di avere giustizia”.
Questo il commento del fratello Mario dopo l’ennesimo verdetto. Otto anni dopo, insomma, ancora nessun giudizio finale e nessun colpevole. In attesa di un nuovo processo pronto ad essere celebrato a Milano, l’auspicio è che questa volta si tratti dell’ultimo.