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16/11/2014 09:26:00

Perchè il Liceo di Castelvetrano non può avere l'aula magna intestata a Peppino e Rita

 I dirigenti scolastici non sono né migliori né peggiori della media dei cittadini. Dunque non può stupire che fra di loro ci siano pochi impegnati attivamente e sistematicamente contro il dominio mafioso; ancor meno numerosi collusi con esponenti di Cosa nostra; e una grande maggioranza di equilibristi che decidono di non stare né con la mafia né contro la mafia. Non può stupire, ma può lo stesso amareggiare. Così come ci amareggia apprendere che la preside del Liceo “Cipolla” di Castelvetrano, patria di Matteo Messina Denaro, abbia ignorato la delibera del Collegio dei docenti e del Consiglio d’Istituto di intitolare l’Aula Magna dell’Istituto a Peppino Impastato e a Rita Atria. Nell’impossibilità di contattare per telefono la signora Tania Barresi, che si è trovata più di una volta fuori ufficio da qualche minuto prima di essere chiamata dal centralino della scuola, dobbiamo accontentarci delle motivazioni riportate dalla stampa locale: “Fosse per me, intitolerei l’aula magna ad un uomo di cultura, sarebbe più proficuo per gli studenti”.
Se fosse una discussione serena e seria si potrebbe obiettare che Peppino Impastato è stato, anche, un uomo di cultura (giornalista, poeta, politologo, animatore di iniziative culturali) e che la stessa Rita Atria, con la sua decisione di passare dalla parte di Paolo Borsellino, ha inciso nella cultura siciliana più di tanti di noi che scriviamo libri e teniamo conferenze. Ma chiaramente siamo davanti a argomentazioni sofistiche che coprono una posizione facile da assumere e difficile da legittimare: la scuola deve restare estranea alle problematiche socio-politiche contemporanee, soprattutto quando si toccano nervi scoperti. Anche l’altra grande agenzia educativa capillarmente sparsa in Italia - intendo la Chiesa cattolica – ha avuto ed ha tra i suoi esponenti (soprattutto fra i preti della provincia di Trapani) un atteggiamento analogo. Se il sistema mafioso fosse un mero fenomeno delinquenziale, questa neutralità della scuola e della Chiesa cattolica si potrebbero in qualche misura giustificare: non mi pare che ci siano progetti educativi centrati sulla lotta al contrabbando delle sigarette o all’adulterazione dei vini. Purtroppo, però, la mafia non è solo un soggetto militare, ma molto altro: e, fra questo molto altro, è anche un’agenzia culturale. E’ portatrice di credenze, simboli, assiomi etici, paradigmi pedagogici: inquina e corrompe i cervelli delle nuove leve, adesca gli animi di favoreggiatori e complici vari. Va dunque combattuta con tutte le armi del potere politico (almeno nella misura in cui non è esso stesso colluso), del potere giudiziario, ma anche del potere culturale. I mafiosi hanno una “visione del mondo” che comporta una certa concezione della vita, della morte, della famiglia, dell’amicizia, dell’onore, della lealtà, della solidarietà, della religione: intellettuali ed educatori (dalle scuole elementari all’università) non possono esimersi dall’analizzare questa filosofia mafiosa e dal tentare di destrutturarla nelle menti dei giovani, proponendo alternative credibili e appetibili.
Proprio il dirigente scolastico Francesco Fiordaliso , che ha lasciato a settembre la poltrona all’attuale preside Barresi, era noto per l’impegno costante in questa battaglia culturale contro la tavola dei valori mafiosi. Chi gli è succeduto nel compito difficilissimo di gestire il liceo ha ragione nel rivendicare la propria originalità individuale (“Non voglio sminuire il lavoro del mio predecessore, che stimo, ma io non sono ”Fiordaliso Bis” e lavoro in maniera diversa”); purché la legittima rivendicazione della propria personalità e del proprio stile educativo non diventi un alibi per zittire la volontà democratica degli altri membri della comunità scolastica. Soprattutto quando tale volontà democratica si esprime in difesa dei valori costituzionali che le organizzazioni mafiose (spesso, proprio nella provincia di Trapani, in combutta con associazioni segrete e circoli elitari) minacciano alla radice. Se si tratta di implementare la formazione complessiva di docenti e discenti, ogni proposta ulteriore non può che essere benvenuta: ma perché costruire il nuovo sulle macerie di ciò che è stato avviato con fatica e pazienza negli anni precedenti?

Augusto Cavadi