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09/01/2015 06:25:00

Donne, dignità e pubblicità a Marsala. Il dibattito è aperto

 Pubblichiamo due interventi di segno opposto scaturiti dalla campagna stampa della redazione di TP24.IT affinchè anche a Marsala, come avviene ormai in molte città, siano rimosse e vietate le pubblicità e i cartelloni con contenuti offensivi per la dignità delle donne.

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L'Iap (Istituto per l'autodisciplina pubblicitaria) vorrebbe bloccare la pubblicità mostrata  da una società su un cartellone, nei pressi dell'aeroporto Trapani - Birgi. Il cartellone mostra in primo piano un seno di donna, e pubblicizza un sistema di video - sorveglianza. La didascalia dice: "Guardare ...senza confini". Evidentemente richiama l'attenzione, mostrando una parte tra le più amate del corpo femminile, con lo scopo di trasferire l'attenzione sul sistema di video - sorveglianza.
La pubblicità é l'anima del commercio. Ogni mezzo, che sia utile per raggiungere lo scopo di interessare il possibile acquirente all'acquisto, é lecito, salvo che non contravvenga a precetti dettati a salvaguardia della concorrenza o che non violi norme penali. Il nostro codice penale, peraltro, é molto dettagliato nell'elencazione dei reati contro la pubblica e privata moralità. Se alle numerose norme pubblicistiche si aggiungono anche i divieti di enti, come L'Iap, diventerà ancora più difficile fare impresa. Nella società economicamente globale, molte restrizioni e regole che vigono in Italia, non esistono altrove.
Il messaggio pubblicitario deve rispettare le norme poste dalla Unione Europea a salvaguardia della concorrenza, quelle di rimando stabilite dalla legislazione statale, e le norme penali nel caso di infrazioni alla moralità. Rispettati questi vincoli, non si sente proprio il bisogno di aggiungerne altri, salvo che non si voglia ingabbiare persino la fantasia dei pubblicitari.
Di enti come l'Iap ce ne sono altri. Tra i loro scopi c'é la tutela dell'immagine della donna, che non può diventare oggetto di commercio. Ecco perché é stata chiesta la rimozione di quella pubblicità.
I moralisti trovano sempre il modo di nascondersi dietro fuorvianti asserzioni. Per i casi della pubblicità che usa il corpo femminile per richiamare l'attenzione - ma esiste anche la pubblicità che usa il corpo maschile -, si afferma che si renderebbe la donna un oggetto, sottraendole dignità. Ma, a ben pensarci, non é così. Non si sono mai sentiti casi di donne costrette, contro la loro volontà, a farsi fotografare per immagini pubblicitarie. Anzi, si può affermare che le agenzie pubblicitarie hanno lunghe liste di donne che vorrebbero essere ingaggiate.
Se gli si desse spazio, i moralisti arriverebbero al punto di vietare il modo di vestire delle donne, ed anche degli uomini, quando, come molte persone fanno, desiderano valorizzare con i loro stili quelle che ritengono le loro parti fisicamente migliori.

Leonardo Agate

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Non è questione di moralismo ed il femminismo è un'altra cosa.  Il congelamento degli stereotipi di genere nelle pubblicità e l'utilizzo del sesso e della donna come oggetto sessuale sono spesso espedienti che nascondono una profonda mancanza di idee.   Su 135 Paesi, l'Italia è tuttavia all'ottantesimo posto nella classifica della parità di genere stilata dal World Economic Forum.  Chiunque lavori con il sistema dei media è tenuto ad assumersi la responsabilità dei messaggi che manda in giro. Le immagini e le narrazioni sono potenti, suggestive, si radicano nella memoria. E dunque sì, anche la rappresentazione pubblicitaria che viene fatta delle donne ha il suo peso. L 'immagine è molto più diretta e potente della parola. L'estetizzazione della violenza e degli stereotipi ci rende immuni da quell'indignazione e da quella repulsione che sarebbe normale provare, ed è questa la cosa più pericolosa. Ed è altrettanto banale sostenere la bontà di questi messaggi pubblicitari con la giustificazione che ci sono donne che si prestano: questo non è un Paese per Donne e, spesso, si fa fatica a trovare un lavoro che esca dai ruoli che alle donne sono stati affibbiati per secoli. Spesso, sono le donne stesse a pensare di non poter pretendere di più.
Non è questione di moralismo ed il femminismo è un'altra cosa.  A noi i corpi nudi piacciono se liberati, non se messi in mostra per venderci qualcosa. Ci piacciono quando sono rivoluzionari, quando hanno un contenuto da veicolare, come le Pussy Riot. Invece, quando si vende qualcosa attraverso un corpo femminile, non un paio di calze o un reggiseno ma qualcosa che non c'entra nulla, e si usa il corpo solo come "mezzo", si tratta di un classico esempio di “contratto patriarcale”, che punta a manipolare il sistema per trarne il massimo del vantaggio, ma senza sovvertirne le regole.  Quelle regole che, da sempre, relegano la donna ai ruoli di casalinga di madre trasposti nell'utilità della colf. Quelle regole che rendevano lecito lo ius corrigendi o lo stupro come "delitto contro la morale", non contro un essere umano. Quelle regole che, ancora oggi, fanno dire ad una ragazza di quattordici anni "se fossi stata maschio avrei potuto fare molte più cose". Regole che hanno declinato semantica e linguaggio al maschile, perchè certe professioni erano appannaggio esclusivo degli uomini. Quelle regole che hanno scritto la storia, dove non ci sono donne. Tutte queste regole, che limitano il concetto della donna e del suo corpo alla funzionalità, sono le basi di quegli stereotipi di genere che, se rotti e violati, portano ai crimini contro le donne in quanto donne.
 L’Onu “raccomanda” all'Italia di «intervenire sulle cause strutturali della disuguaglianza di genere e della discriminazione». Tra queste raccomandazioni c'è il dispositivo 3 settembre 2008 sull'impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini (2008/2038 INI). L'Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul per la prevenzione della violenza, la protezione delle vittime e la condanna dei colpevoli e rielaborato il Piano nazionale contro la violenza. Ma Finché non si considererà la violenza sulle donne un costo economico che erode il pil e l’economia, oltre che l' equilibrio della società, l’Italia riuscirà a garantire i diritti solo a metà. Quando si parla di femminicidio, si deve parlare di tutto questo: dell'ottusità di uno Stato ripiegato su se stesso e in una cultura patriarcale; di vittime che giacciono invendicate; di donne e uomini coraggiosi nella denuncia di una cultura che odia le donne e di una politica inerte, inadeguata nelle reazioni. Di
una pubblicità che campeggia lì, per le strade, sotto gli occhi dei nostri giovani: non incentiva, per carità. Ma banalizza. Stereotipizza. Rende ordinario. Rende le Donne polvere.

Valentina Colli