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28/01/2015 18:02:00

Confermata la condanna per tentata violenza sessuale per Don Vito Caradonna

Brutta notizia per don Vito Caradonna, ex parroco della chiesa di contrada San Leonardo ed ex cappellano del carcere di Marsala. La Corte d’appello di Palermo, infatti, ha confermato la sentenza con cui, il 18 febbraio 2013, il Tribunale di Marsala lo condannò a due anni di reclusione (pena sospesa), per tentata violenza sessuale. I fatti contestati al prete (che all’indomani della sentenza di primo grado fu sospeso a divinis dal vescovo Mogavero) risalgono al febbraio 2005. Ad accusare il prete è stato un uomo di 37 anni (Paolo Lo Cascio) che nel corso del processo ha ribadito che don Vito lo invitò nella canonica della chiesa di San Leonardo per prendere un caffè e che mentre era “stordito” (l’uomo ha sempre avuto il sospetto che nel caffè sia stato messo del sonnifero) avrebbe tentato di abusarne sessualmente. “Ad un tratto – ha dichiarato Lo Cascio – don Vito mi ha aggredito”. La presunta vittima ha aggiunto che comunque riuscì a divincolarsi e a fuggire. All’uomo che ha accusato il prete, il Tribunale di Marsala riconobbe un risarcimento danni di 25 mila euro. Nel 2012, intanto, il vescovo aveva trasferito don Vito a Santa Ninfa. La presunta vittima dell’abuso, il 18 giugno 2012, fu ascoltata dal Tribunale in videoconferenza dalla Germania, dove si era trasferita per ragioni di lavoro. “E non è vero – concluse – che ho chiesto del denaro per non sporgere denuncia”. Nel corso del processo, infatti, l’allora vescovo di Mazara Calogero La Piana, in aula aveva dichiarato: “Fui avvicinato da un uomo che mi disse di essere stato vittima di un tentativo di violenza sessuale da parte di don Vito Caradonna, ma che era disposto a chiudere la vicenda se indennizzato con una somma di denaro. Non diedi peso a quell’accusa e non feci denuncia”. Lo Cascio, assistito dall’avvocato Gianfranco Zarzana, si è costituito parte civile. Anche se ha cercato di non fare troppa pubblicità alla sua storia. A difendere don Vito Caradonna sono stati gli avvocati Stefano Pellegrino e Rosa Tumbarello, sostenendo che “il fatto non sussiste” e che l’accusatore sarebbe “caduto in contraddizioni, non seguendo inoltre una logica temporale”. Sia i giudici di primo grado, però, che quelli di secondo non sono stati dello stesso parere.