Doveva saltare il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi per avere, all'improvviso, una benedetta accelerazione sul nuovo disegno di legge contro la corruzione, vero cancro del Paese, sistema di regolamento degli affari per vecchie e nuove mafie. C'è stato un vertice tra il Ministro della Giustizia, Orlando, il viceministro Costa (Ncd) e i principali esponenti Pd, Ncd e Scelta civica delle commissioni di Camera e Senato. La legge potrebbe essere approvata a marzo. Sarebbe un bel gesto di coraggio. Ci saranno pene più dure per i reati di corruzione, con innalzamento della prescrizione. Le sanzioni previste per il pubblico ufficiale sono estese all'incaricato di pubblico servizio. Dopo il rialzo delle pene per la corruzione propria (da 4-8 anni a 6-10), si armonizzano quelle per l'induzione indebita (da 3-8 anni a 4-10 anni), con riflessi sull'interdizione dai pubblici uffici; e quelle per chi sta a libro paga, il pubblico ufficiale che riceve indebitamente denaro o altra utilità (da 1-5 anni a 1-6). Quanto al falso in bilancio, ritorna ad essere un reato a tutti gli effetti, perché si accantona l'ipotesi che per le società non quotate fosse perseguibile solo a querela: sarà sempre perseguibile d'ufficio.
Purtroppo nulla viene migliorato - per un veto del Nuovo Centro Destra - su abuso d'ufficio e traffico d'influenze. Così come cade l'idea, adottata in altri sistemi, dell'agente provocatore infiltrato nella Pubblica Amministrazione. Ma ci sarà lo sconto di pena da un terzo alla metà per i corrotti che collaborano con i magistrati, sulla falsa riga dei pentiti di mafia. E in effetti da tempo in molti sostengono che, contro la corruzione, va utilizzato la stessa strategia messa in campo contro la mafia.
Raffaele Cantone, presidente dell’autorità anticorruzione, si sbilancia poco nel contenuto. Dice: «L’importante è che ci sia una legge organica che preveda una buona norma sul falso in bilancio». Non ha fretta Cantone: «Il Parlamento forse si sta prendendo un po’ di tempo, ma è meglio attendere un mese in più e avere una buona legge».
Era stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che nel suo discorso di insediamento aveva sollecitato norme anticorruzione. Ed è stato davanti a lui, nell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio di Stato, che il presidente Giorgio Giovannini ha invocato «un giudice amministrativo forte, indipendente e autorevole per combattere i fenomeni di corruttela vasti e ramificati che quasi quotidianamente vengono alla luce».
Ma molto resta da fare per migliorare la sensibilità della classe politica sul tema. Ne è dimostrazione il caso del presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta (Pd), che ha deciso di non costituirsi parte civile nel processo per corruzione contro un suo funzionario. La scelta è stata "argomentata" con un apposito parere dell’avvocatura distrettuale
dello Stato. Che cosa si sostiene in quella nota depositata durante il dibattimento? Che le tangenti non sono un fattore di particolare «allarme sociale», tale da giustificare una richiesta di risarcimento da parte della Regione... Il processo riguarda Gianfranco Cannova, arrestato mesi fa con l’accusa di avere intascato tangenti e usufruito di soggiorni in lussuosi alberghi. In cambio avrebbe oliato una pratica nel settore dello smaltimento dei rifiuti e delle discariche. Il dipendente regionale è attualmente alla sbarra davanti al tribunale di Palermo. Quando fu arrestato il funzionario, che è reo confesso, Crocetta parlò di "pugno duro". Eppure per l'avvocatura non c'è bisogno che l'ente chieda i danni, per "l'esiguità del danno provocato dal singolo caso al patrimonio contestato" e, attenzione, "per il non particolare allarme sociale connesso alle fattispecie contestate".