Quattro anni e mezzo di carcere sono stati inflitti dal Tribunale di Marsala all’ex sindaco di Campobello di Mazara Ciro Caravà a conclusione del processo che lo vedeva imputato per concussione insieme agli ex consiglieri comunali di maggioranza Antonio Di Natale e Giuseppe Napoli. Per gli ultimi due, però, il reato contestato è stato derubricato in “induzione indebita a dare o promettere utilità”. A Di Natale sono stati inflitti tre anni e mezzo, mentre Napoli è stato condannato a due anni (pena sospesa). Di Natale e Napoli erano stati arrestati nel maggio 2010 dalla Guardia di finanza. Il pubblico ministero Anna Sessa aveva invocato la condanna a sette anni ciascuno per Caravà e Di Natale e l’assoluzione per Napoli. I tre politici erano finiti sotto processo con l’accusa di avere preteso somme di denaro da un imprenditore mazarese, Vito Quinci, per contribuire ad approvare, in Consiglio comunale, la delibera relativa alla concessione edilizia per la realizzazione di un albergo con 220 camere da costruire, su un’area di circa 80 mila metri quadrati, nella frazione balneare di Tre Fontane. Di Natale e Napoli, secondo l’iniziale accusa, avrebbero preteso una “mazzetta” di 21 mila euro. Quinci, legale rappresentante delle società “Tre fontane”, “Il faro” e “Mokarta costruzioni”, accusò, poi, anche Caravà di avergli chiesto, nel 2005, quando era consigliere comunale, una o più mazzette, per circa 30 mila euro, per votare, e far votare anche ad altri colleghi, favorevolmente la delibera relativa al medesimo progetto. A difendere gli imputati sono gli avvocati Giovanni Lentini (legale di Caravà), Giuseppe Pantaleo (per Di Natale), Paolo Paladino e Antonella Moceri. Quinci ha raccontato la sua tormentata storia in una lettera inviata nel 2010 al prefetto di Trapani. “Tutto – scrisse - parte nel 2000 con la presentazione di due progetti, uno con la società il Faro e l’altro con la Tre Fontane Family (un residence di 18 appartamenti). Poi, la magistratura ha avviato un’indagine, ma siamo stati tutti assolti. Sono seguiti tre anni di ostruzionismo per ottenere le concessioni, nel 2006 abbiamo iniziato a costruire”. Ma vengono bloccati i finanziamenti e l’imprenditore è costretto a mettere il cartello “vendesi” sulle sue creature. Questa è la seconda condanna riportata da Ciro Caravà. Il 18 giugno 2014, infatti, il Tribunale di Marsala lo ha condannato a otto mesi di reclusione per peculato d'uso, mentre circa quattro mesi prima (6 febbraio 2014) lo aveva assolto dall’accusa di concorso in associazione mafiosa, rimettendolo in libertà dopo due anni, un mese e 21 giorni di detenzione. I fatti contestati nel processo per peculato d’uso erano relativi alla campagna elettorale del 2008, quando Caravà utilizzò un video realizzato in precedenza in cui veniva ripreso un bene confiscato alla mafia. Secondo l’accusa, però, quelle immagini furono realizzate utilizzando l'auto di servizio del Comune di Campobello di Mazara, sulla quale, oltre all’autista, salì anche l’operatore di una emittente televisiva di Mazara. La vicenda fu poi evidenziata nei suoi comizi dal suo avversario per la corsa alla poltrona di sindaco, Giovanni Stallone, che presentò anche una denuncia.