Sono 133 mila i beni sequestrati alla criminalità nel 2014, 20 mila in più rispetto all’anno precedente, e il 20% di questi, pari a 26 mila, sono confiscati definitivamente. Solo a Roma sono stati sequestrati lo scorso anno 849 immobili e 339 imprese, per un valore economico pari ad 1 miliardo. Tuttavia questo immenso patrimonio “è inutilizzato o utilizzato solo parzialmente”, per usare le parole del presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, che ha organizzato oggi un seminario a Palazzo San Macuto sulla riforma del Codice antimafia sulle misure di prevenzione, con un focus particolare sul sequestro, la gestione e la confisca dei beni e delle aziende confiscate.
La lotta alla criminalità e alle mafie “ha dato risultati significativi che tuttavia ancora non ci fanno dire che abbiamo vinto le mafie”, ha detto Bindi, secondo la quale “sono troppi gli appartamenti confiscati che non entrano nella disponibilità degli enti locali per dare case per la popolazione, troppi terreni incolti sottratti alle mafie che non aiutano a superare la crisi, troppe imprese che vedono bloccato il loro lavoro e quindi quello dei loro occupati. Tutto questo è ingiusto e ridimensiona i successi del sequestro e della confisca dei beni che rischia di diventare motivo di consenso per le mafie”.
Numerosi sono i progetti di legge all’esame di Camera e Senato di riforma della legislazione vigente delle misure di prevenzione e la presidente dell’Antimafia ha sottolineato come “i tempi siano maturi per procedere ad una armonizzazione dei testi”. Anche per Davide Mattiello (Pd), relatore di molti di questi progetti di legge, “bisogna arrivare in tempi ragionevoli ad una sintesi per la riforma della legislazione e soprattutto produrre una normativa che sia sostenibile nella pratica quotidiana: non possiamo morire di imbarazzo, abbiamo la responsabilità della scelta”. Al centro dell’attenzione dei relatori anche l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati. Per Nicola Gratteri, presidente della Commissione per l’elaborazione di proposte normative in materia di lotta alla criminalità, “l’Agenzia così come è non funziona” ed ha proposto di investire in termini di risorse e personale, da assumere per concorso secondo necessità, “senza porre un limite”. Critico l’attuale direttore dell’Agenzia, il prefetto Umberto Postiglione: “dispongo di una struttura sottodotata, composta da 80 persone, alcune con le competenze che servono, altre no. Certo, se l’Agenzia avesse altre due sedi oltre alle cinque attuali, a Torino e a Bari e di altri 50 lavoratori competenti, mi sentirei più tranquillo”. “E’ vero, bisogna dare sostanza e competenza a questa macchina – ha concluso Postiglione – ma qualcuno si è mai preoccupato di capire quante persone servono a seguire l’infinità di pratiche che abbiamo? E’ paradossale, ma molti di coloro che lavorano in questo sistema non sanno quel che accade in questo mondo. Servirebbe maggiore coordinamento”. Il capogruppo Pd in Commissione Giustizia, Giuseppe Lumia, si è detto “da sempre perplesso sull’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati organizzata come fosse un ministero: serve per l’Agenzia una struttura snella e moderna; deve esercitare funzioni di indirizzo e controllo, con poteri sostitutivi quando il territorio non riesce a camminare con le proprie gambe”.
Il presidente della Commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, ha evidenziato la necessità di risorse per gestire le aziende confiscate, necessità condivisa anche dal viceministro all’Economia, Luigi Casero, secondo il quale “l’entità dei beni sequestrati pone la necessità di interventi non solo sotto il profilo giuridico ma anche economico”.