Come abbiamo raccontato ieri, pene esemplari sono state inflitte dal Tribunale di Marsala (presidente del collegio: Sergio Gulotta, giudici a latere Moricca e Pierini) ai due imputati del processo per i presunti abusi sessuali commessi all’Istituto Rubino su una minore che frequentava la struttura. A dieci anni di carcere, infatti, è stata condannata Giuseppa Signorelli, 52 anni, ex responsabile dell’unità assistenziale, mentre nove anni sono stati decretati per Vincenzo Galfano, 50 anni, ex bidello. I due protagonisti della vicenda furono posti agli arresti domiciliari il 3 ottobre 2012. Ritornarono in libertà, per il venir meno delle esigenze cautelari, dopo circa un anno. I due imputati sono stati, inoltre, condannati a risarcire le parti civili. Con 20 mila euro l’Istituto Rubino e con 60 mila (in questo caso a titolo “provvisionale” in attesa del responso in sede civile) la presunta vittima, N.C., assistita dall’avvocato Natalie Lo Sciuto. Altra pena accessoria è stata l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dalle scuole. In particolare, quelle frequentate da minori. I giudici hanno, dunque, ritenuto credibile l’accusatrice, che lo scorso 5 gennaio, in aula, ha ribadito quanto dichiarato in fase d’indagine. Anche se a giudizio degli avvocati difensori (Stefano Pellegrino e Roberta Piccione) nel suo racconto sarebbero “emerse alcune contraddizioni in merito a luoghi e tempi dei fatti contestati”. L’Istituto Rubino di Marsala fu creato nel 1902 per fornire ricovero e aiuto agli orfani e all’infanzia abbandonata. Negli ultimi decenni, anche su segnalazione del Tribunale per i minorenni, è stata fornita assistenza scolastica (lezioni di recupero pomeridiane) a studenti in difficoltà provenienti da realtà ad alto rischio sociale. E proprio per il “dopo scuola” la struttura era frequentata dalla ragazzina, oggi maggiorenne, che tra il 2004 (quando ancora non aveva neppure 14 anni) e il 2009, sarebbe stata abusata sessualmente dall’ex responsabile dell’unità assistenziale e dal bidello. L’inchiesta, condotta dalla Squadra mobile di Trapani, fu avviata dopo che la giovane si confidò con il compagno della madre. Dall’inchiesta è emerso che la minore, quando frequentava l’istituto, che è nel centro storico marsalese, a circa cento metri dal Municipio, in diverse occasioni (la polizia parlò di “prassi consolidata”) sarebbe stata invitata dalla Signorelli nella sua stanza, dove poi sopraggiungeva, sempre secondo l’accusa, anche il bidello e lì “pativa atti sessuali posti in essere contemporaneamente dagli arrestati”. La presunta vittima fu quindi ascoltata, con il supporto di una psicologa, nella stanza “Arcobaleno” della Squadra Mobile. Altre “utili informazioni” all’indagine furono fornite dai Servizi sociali del Comune di Marsala. Dopo la lettura della sentenza, gli avvocati Pellegrino e Piccione hanno dichiarato: “Proporremmo appello avverso la sentenza di primo grado, rimanendo convinti della estraneità dei nostri assistiti ai gravi fatti contestati e auspicando il favorevole esito del processo innanzi il giudice di appello. Riteniamo di dover impugnare la sentenza perché abbiamo riscontrato contraddizioni e inverosimiglianze nel racconto della persona offesa. Inoltre, nella nostra discussione è stato evidenziato il rischio che l’accusa fosse strumentale al risarcimento del danno”.