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04/03/2015 06:30:00

Mafia, processo Eden. Nella requisitoria le liti interne al clan Messina Denaro

 La corposità (notevole) del materiale probatorio da illustrare al Tribunale presieduto da Gioacchino Natoli non ha consentito ai pm della Dda Carlo Marzella e Paolo Guido di concludere in due udienze la loro requisitoria nel processo che in Tribunale, a Marsala, vede imputate cinque delle persone coinvolte nell’operazione antimafia <Eden> (13 dicembre 2013). Alla sbarra, tra gli altri, Anna Patrizia Messina Denaro, Francesco Guttadauro (rispettivamente sorella e nipote di Matteo Messina Denaro), e Antonino Lo Sciuto. Tutti sono accusati di associazione mafiosa. La Messina Denaro anche di estorsione e assieme al nipote Guttadauro di tentata estorsione. Alla sbarra, anche Vincenzo Torino, accusato intestazione fittizia di beni, e Girolama La Cascia, imputata per false dichiarazioni al pubblico ministero. Quest’ultima, secondo l’accusa, sarebbe vittima di estorsione ad opera di Anna Patrizia Messina Denaro, che avrebbe preteso una parte (70 mila euro) dell’eredità ricevuta da un’anziana ex insegnante e possidente di Castelvetrano (Tp), Caterina Bonagiuso, che della sorella del boss latitante era madrina di battesimo. Nel testamento, però, la Messina Denaro non viene citata. Il dato saliente della seconda udienza dedicata alla requisitoria è quello evidenziato dal pm Marzella, che ha detto che dopo l’arresto di Giovanni Filardo (15 marzo 2010) e la gestione della sua impresa, la Bf costruzioni, da parte della moglie Franca Barresi e delle figlie Floriana e Valentina, si registrarono “contrasti in seno alla famiglia Messina Denaro per la spartizione degli introiti”. Il pm ha affermato che dalle intercettazioni è emerso che le donne della famiglia di Giovanni Filardo, cugino di Matteo Messina Denaro, trattenevano “gli incassi della società, dicendo che navigavano in cattive acque, che non avevano neppure i soldi per fare la spesa”. E ciò avrebbe scatenato tensioni in seno al clan mafioso. Come dimostrano i dialoghi intercettati. Anche perché parte di quel denaro “serviva a finanziare la latitanza di Matteo Messina Denaro”. Da un lato, Lorenzo Cimarosa e Nino Lo Sciuto e dall’altro le donne della famiglia Filardo. Francesco Guttadauro fece da paciere. Il pm ha, inoltre, evidenziato anche il ruolo di non semplice dipendente del Lo Sciuto, che invece aveva voce in capitolo nella gestione della Bf. Dell’impresa, insomma, non era soltanto il direttore tecnico. “Lorenzo Cimarosa – ha inoltre detto il pm Marzella - ha dichiarato che lavoravano solo le imprese che volevano i Messina Denaro. E nonostante il suo stato di detenzione, Giovanni Filardo è riuscito ad accaparrarsi sostanziosi lavori: un parco eolico e del Mc Donald a Castelvetrano. E che gli introiti servivano anche al mantenimento della latitanza di Matteo Messina Denaro lo dice anche Rosa Santangelo (sorella della madre del boss, ndr)”. Intanto, in un colloquio in carcere, Filardo dice alla moglie e alle figlie di prelevare il denaro che è in banca per nasconderlo sottoterra. “La moglie dice che bisogna farlo poco a poco – ha continuato il pm - Si assiste a costante prosciugamento dei conti correnti intestati alle due figlie, Floriana e Valentina. Sempre prelievi di importo inferiore ai 5 mila euro per non far scattare segnalazioni bancarie. Alla fine, sul conto delle figlie rimangono circa 2 mila euro. In uno ce n’erano 103 mila”. Ciò tra marzo e settembre 2010. Il rappresentante dell’accusa si è soffermato anche su Francesco Guttadauro, dicendo che era “percettore delle somme della Bf e Mg costruzioni”, ma anche soggetto che interveniva quando si registravano “problemi”. Del resto, sarebbe il “nipote del cuore” di Matteo Messina Denaro. Giovedì 5 marzo le richieste dell’accusa. Poi, interverranno le parti civili e nelle successive udienze gli avvocati difensori.