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06/03/2015 07:18:00

Mafia, processo Eden. Le richieste di pena, le conclusioni dei Pm, i particolari

Come abbiamo raccontato ieri,  al termine di una requisitoria durata ben tre udienze, i pubblici ministeri della Dda di Palermo Paolo Guido e Carlo Marzella hanno invocato la condanna dei cinque imputati del processo, in corso in Tribunale, a Marsala, relativo a uno stralcio giudiziario dell’operazione antimafia “Eden” (13 dicembre 2013). Alla sbarra sono Anna Patrizia Messina Denaro, Francesco Guttadauro (rispettivamente sorella e nipote del boss latitante), e Antonino Lo Sciuto. E inoltre Vincenzo Torino, accusato intestazione fittizia di beni, e Girolama La Cascia, imputata per favoreggiamento tramite false dichiarazioni al pubblico ministero. I primi tre imputati sono tutti accusati di associazione mafiosa. La Messina Denaro anche di estorsione e, assieme al nipote Guttadauro, di tentata estorsione. La pena più pesante (18 anni di reclusione) è stata chiesta per Francesco Guttadauro, mentre 16 anni sono stati invocati per Anna Patrizia Messina Denaro e 13 anni per Lo Sciuto. Tre anni e 4 mesi sono stati chiesti per Torino e un anno per La Cascia. Quest’ultima, secondo l’accusa, sarebbe vittima di estorsione ad opera di Anna Patrizia Messina Denaro, che avrebbe preteso una parte (70 mila euro) dell’eredità ricevuta da un’anziana ex insegnante e possidente di Castelvetrano, Caterina Bonagiuso, che della sorella del boss latitante era madrina di battesimo. Nel testamento, però, la Messina Denaro non viene citata, ma la La Cascia ha dichiarato di averle versato il denaro, con tre assegni, perché poco prima di morire la Bonagiuso le avrebbe detto di dare quella somma alla figlioccia. Analoga richiesta la Messina Denaro avrebbe avanzato a un’altra erede, Rosetta Campagna. Ma questa non volle cedere, per nulla intimorita dal cognome di chi, secondo l’accusa, avanzò la richiesta. Il pm Paolo Guido ha, poi, ribadito che “Matteo Messina Denaro era in contatto con la sua famiglia. Anche con la sorella Anna Patrizia. Ed era informato sulle questioni interne alla sua famiglia. Il boss latitante era contrario all’esistenza di contrasti interni, come quello tra Lorenzo Cimarosa e Giovanni Filardo. In seno alla famiglia mafiosa non dovevano esserci contrasti. E c’è una grande devozione dell’intera famiglia per il boss latitante”. Conclusa la requisitoria, è stato il turno dei legali di parte civile. Sono perciò intervenuti, associandosi alle richieste dei pm e avanzando le loro richieste, gli avvocati Peppe Gandolfo (Associazione antiracket e antiusura “Paolo Borsellino”), Domenico Grassa (Libera), Francesco Vasile (Comune di Castelvetrano) e Giuseppe Novara (Confindustria e Antiracket Trapani). Infine, il primo difensore: l’avvocato castelvetranese Giovanni Messina, legale di Girolama La Cascia. E alla difesa (avvocati Celestino Cardinale, Giuseppe Pantaleo e altri, tra i quali anche due giovani legali nipoti di Matteo Messina Denaro) saranno dedicate le prossime due o tre udienze.