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01/04/2015 08:11:00

Mafia, Eden. Condannati sorella e nipote di Matteo Messina Denaro

 Tredici anni di carcere per Anna Patrizia Messina Denaro e sedici anni per Francesco Guttadauro, rispettivamente sorella e “nipote del cuore” del boss mafioso castelvetranese Matteo Messina Denaro. Entrambi sono stati ritenuti colpevoli di associazione mafiosa e tentata estorsione in danno di Rosetta Campagna, una delle eredi di Caterina Bonagiuso, madrina di battesimo di Anna Patrizia. Quest’ultima è stata, invece, assolta dall’accusa di estorsione in danno di Girolama La Cascia, altra erede della Bonagiuso. A emettere la sentenza, ieri sera, è stato il Tribunale di Marsala (presidente del collegio: Gioacchino Natoli) a conclusione del processo scaturito dall’operazione antimafia “Eden”, del 13 dicembre 2013. Dall’accusa di mafia è stato, invece, assolto “per non aver commesso il fatto” Antonino Lo Sciuto, ex direttore tecnico dell’impresa Bf costruzioni di Giovanni Filardo, cugino di Matteo Messina Denaro. Per Lo Sciuto il Tribunale ha ordinato l’immediata scarcerazione. Assolta (“perché il fatto non sussiste”) anche Girolama La Cascia dall’accusa di favoreggiamento per false dichiarazioni al pm. Per intestazione fittizia di beni, invece, Vincenzo Torino è stato condannato a tre anni di reclusione. Tra le pene “accessorie”, per Anna Patrizia Messina Denaro e Francesco Guttadauro l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e tre anni di libertà vigilata dopo l’uscita dal carcere. Ed inoltre il pagamento di risarcimento danni a varie parti civili. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni. Lo scorso 5 marzo, al termine di una requisitoria durata ben tre udienze, i pubblici ministeri della Dda di Palermo Paolo Guido e Carlo Marzella avevano invocato la condanna dei cinque imputati. La pena più pesante (18 anni di reclusione) era stata chiesta per Francesco Guttadauro, mentre 16 anni erano stati invocati per Anna Patrizia Messina Denaro e 13 anni per Lo Sciuto. Tre anni e 4 mesi chiesti per Torino e un anno per La Cascia. Quest’ultima, secondo l’accusa, sarebbe vittima di estorsione ad opera di Anna Patrizia Messina Denaro, che avrebbe preteso una parte (70 mila euro) dell’eredità ricevuta da un’anziana ex insegnante e possidente di Castelvetrano, Caterina Bonagiuso. Nel testamento, però, la Messina Denaro non viene citata. La Cascia, però, ha dichiarato di averle versato il denaro, con tre assegni, perché poco prima di morire la Bonagiuso le avrebbe detto di dare quella somma alla figlioccia. Analoga richiesta la Messina Denaro avrebbe avanzato a un’altra erede, Rosetta Campagna. Ma questa non volle cedere, per nulla intimorita dal cognome di chi, secondo l’accusa, avanzò la richiesta. Il pm Paolo Guido, poi, ribadì che “Matteo Messina Denaro era in contatto con la sua famiglia, anche con la sorella Anna Patrizia, ed era informato sulle questioni interne alla sua famiglia. Il boss latitante era contrario all’esistenza di contrasti interni, come quello tra Lorenzo Cimarosa e Giovanni Filardo. In seno alla famiglia mafiosa non dovevano esserci contrasti. E c’è una grande devozione dell’intera famiglia per il boss latitante”. Il pm Marzella, invece, aveva affermato: “Lorenzo Cimarosa ha detto che lavoravano solo le imprese che volevano i Messina Denaro e il vincolo mafioso prevaleva su quello parentale nella spartizione dei guadagni. Nonostante il suo stato di detenzione (arresto il 10 aprile 2010, ndr), Giovanni Filardo è riuscito ad accaparrarsi sostanziosi lavori. E che introiti servivano anche al mantenimento della latitanza di Matteo Messina Denaro lo dice anche Rosa Santangelo (zia di MMD). Anche dal carcere era Giovanni Filardo a gestire l’impresa intestata alla figlia Floriana dopo l’arresto. Emerge dai colloqui intercettati in carcere con le figlie e la moglie, alla quale dice di occultare delle somme sotto terra. La moglie dice che bisogna farlo poco a poco. Si assiste a costante prosciugamento dei conti correnti intestati alle due figlie, Floriana e Valentina. Sempre prelievi di importo inferiore ai 5 mila euro per non far scattare segnalazioni bancarie. Alla fine, sul conto delle figlie rimangono circa 2 mila euro. In uno ce n’erano 103 mila”. I pm avevano, poi, parlato anche di “contrasti in seno alla famiglia Messina Denaro per la spartizione degli introiti, con trattenimento di soldi da parte di Franca Barresi e Floriana e Valentina Filardo (moglie e figlie di Giovanni Filardo, cugino di Mmd)”. Le donne avrebbero detto che “trattenevano gli incassi della società, affermando che navigavano in cattive acque, che non avevano neppure i soldi per fare la spesa”. In avvio di requisitoria, il pm Guido aveva, invece, ricordato quanto emerso del corso del processo sulle voci che in carcere, a Rebibbia, nel 2013, si erano diffuse su un possibile pentimento di Giuseppe Grigoli, ex “re dei supermercati Despar” in Sicilia occidentale condannato per associazione mafiosa e ritenuto braccio economico di Matteo Messina Denaro, e i colloqui sull’argomento tra Anna Patrizia Messina Denaro e il marito detenuto Vincenzo Panicola. In uno di questi colloqui, intercettati in audio-video, Panicola chiede alla moglie se è vero, come faceva intendere Grigoli in carcere, che era stato “autorizzato a parlare” da Matteo Messina Denaro. Dichiarando che era stato costretto a versare denaro alla mafia, non che fosse colluso. Facendo i nomi di Vincenzo Panicola e Filippo Guttadauro, entrambi cognati di Matteo Messina Denaro. Panicola chiede, quindi, alla moglie di rivolgersi al fratello Matteo per sapere se quanto diceva Grigoli corrispondeva a verità. “E Anna Patrizia Messina Denaro – ha affermato il pm Guido - a cavallo tra un colloquio e l’altro con il marito, ha incontrato il fratello latitante in più di un occasione tra il maggio ed il giugno 2013”. Il 19 giugno 2013, quando Grigoli era detenuto a Voghera, gli inquirenti ascoltano Anna Patrizia Messina Denaro che dice: ‘’Che nessuno lo tocchi. Lassatilu ire. Chiù dannu po' fari, chiossai, pi deci volte. Una catastrofe. No, unn'avi raggiune, (non era stato autorizzato, ndr). Perciò se qualcuno ti spia, ci dici lassatilu ire’’. Insomma, il boss non aveva autorizzato Grigoli ad aprire bocca, ma una ritorsione immediata avrebbe potuto provocare grossi danni al clan Messina Denaro. Ieri sera, alla lettura della sentenza hanno assistito diversi parenti degli imputati e una rappresentanza di Libera. L’associazione di don Ciotti era tra le parti civili.P