di Giuseppe Alletto
Forme che si aggrovigliano e si fondono, linee che muoiono e rinascono l’una dall’altra in un abbraccio convulso e febbrile
Ecco la grammatica visiva di Giacomo Cuttone.
Nelle sue grafiche l’artista di Mazara del Vallo mostra allo spettatore una sorta di metamorfosi incessante di oggetti e corpi, che ricorda le opere su carta di Endre Roszda e, più in generale, degli artisti del Surrealismo storico. In una sorta di costante tentativo di “congelare” gli elementi della realtà, di sottrarli alla dimensione temporale, egli si impegna a restituire, in un’immagine fissa, un istante della loro esistenza. Cuttone sembra, infatti, voler trarre fuori dal supporto i propri soggetti, quasi a liberarli dalla precarietà del loro essere. L’artista “scolpisce” le sue figure per mezzo di un accostamento di piani, a loro volta costituiti da linee disposte a formare pattern molto coerenti. Linee, piani, superfici compiono il miracolo della piena plasticità in quello spazio che sembra adatto soltanto a figure piatte, a ombre, a simulacri senza alcuna consistenza: lo spazio bianco del foglio.
Ma non è tutto. Un intenso dinamismo attraversa e agita le composizioni di Cuttone.
Le sue figure, spesso archetipiche (vedi la serie dei Totem), tendono quasi sempre verso due direzioni, opposte ma complementari. Da una parte, sembrano comprimersi l’un l’altro, come stritolate dalla loro stessa forza; dall’altra, quando l’accumulo di energie diventa incontenibile, la Forma trasborda, diviene potenza che finisce per esplodere, disintegrandosi in mille vettori direzionali che invadono lo spazio figurativo.
Non è soltanto il già citato Surrealismo a ispirare il Nostro. Se in “Un insolito clochard”, ad esempio, la matrice espressionista è evidentissima, opere quali “Sicilia Nagasaki” (33x 48 cm; china) e “Giardino incantato” (33x48 cm; china), invece, mostrano l’influenza della pittura giapponese e delle languide atmosfere “fin de siècle” delle grafiche di Aubrey Beardsley.
Nell’opera intitolata “Rottamazione” (50x70 cm, china) gli oggetti vengono tutti concentrati nella metà inferiore del supporto. Qui si dispongono caoticamente l’uno sull’altro pezzi di corpi, teste e braccia di piccole bambole a evocare il sentimento di perdita dell’innocenza, in una versione per nulla rassicurante del mito saviniano dell’infanzia, attraversato qui da sottili perversioni alla Hans Bellmer.
Ne “La colonna infinita (omaggio a Brancusi)” Cuttone si ispira ad una scultura del grande rumeno. Ma l’artista di Mazara del Vallo non lavora una forma tridimensionale impiegando scalpello e gradine; egli crea su un piano bidimensionale, servendosi di semplici strumenti quali sono delle linee tracciate a china. Il risultato però appare straordinario. Cuttone infatti riesce a compiere il miracolo della forma che nasce dall’informe, dei volumi e delle masse tradotte in linee e tratteggi.
Il talento figurativo del Nostro è stato spesso chiamato a confrontarsi dinamiche espressive completamente differenti: quelle della letteratura. Basti pensare alle numerose collaborazioni con il grande Nino Contiliano o ancora con il compianto Gianmario Lucini, autore-editore. Da questi incontri sono nati i volumi “Canto dei bambini perduti” (di Gianmario Lucini; CFR Editore) e “Il deserto di Uség” (di Arnaldo Ederle, CFR Edizioni), tentativi assolutamente riusciti di dialogo tra diversi ambiti espressivi.
Ma l’artista di Mazara si è spinto addirittura oltre, in direzione di una completa fusione tra i due linguaggi; è il caso di quelle grafiche ove Cuttone accosta frasi e versi poetici alle linee e alle forme, (i disegni per la silloge poetica, di autori vari, dal titolo “We are winning wing”, CFR edizioni).
Nelle chine che impreziosiscono questi volumi l’incisivo segno di Giacomo Cuttone appare impegnato in un dialogo costante con la parola, con i versi, diventando esso stesso strumento poetico. Un duttile strumento di cui l’artista si serve per scavare nella memoria dei singoli e dell’intera collettività, facendo emergere speranze e turbamenti, simboli e fantasmi, utopie e incubi