“Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle 4 del pomeriggio? Per esempio, no? E vivono di questo. Questa non è identità cristiana. L’ultima parola di Dio si chiama ‘Gesù’ e niente di più”. Non ha citato esplicitamente Medjugorje Papa Francesco in questo passaggio della sua omelia di ieri a Santa Marta. E tuttavia è difficile pensare che la sua sferzante ironia non fosse riferita a quel che succede, ormai da trentaquattro anni, nella piccola cittadina dell’Erzegovina. Del resto, lo stesso pontefice aveva annunciato qualche giorno fa che la procedura di valutazione dell’autenticità delle apparizioni della Madonna a Medjugorje è quasi conclusa e che dunque una decisione definitiva sulla questione appare imminente. Il sarcasmo del papa è assolutamente ragionevole: la Madonna a Medjugorje rappresenta un fenomeno decisamente “spettacolare” e ipermediatico.
Essa appare ad alcuni dei veggenti a orari regolari e conosciuti con largo anticipo; su quelli viene organizzata buona parte del consistente flusso turistico organizzato di pellegrini che raggiunge la località ex jugoslava e che può assistere, dal vivo, come è capitato a me alcuni anni fa, allo spettacolo del “veggente che vede la Madonna”, diramando, subito dopo, immediatamente tradotto in tutte le lingue e poi diffuso dalle varie Radio Maria, il suo messaggio al mondo. Ha ancora ragione il pontefice quando dice che i veggenti “vivono di questo”.
I veggenti non sono certo più gli ingenui giovanissimi pastorelli che, nel lontano 1981, annunciarono per la prima volta al mondo di aver visto, sul monte Podbrdo, la Vergine Maria. Alcuni di loro sono diventati dei veri e propri “imprenditori dell’apparizione”: fanno cioè quello di mestiere, ci campano; con soddisfazioni, credo, assai consistenti. Da ogni punto di vista. Se la sentenza vaticana definitiva su Medjugorje fosse la bocciatura che questo passaggio dell’omelia di Francesco sembra evocare saremmo davvero di fronte ad una grandiosa novità storica, alla chiusura di una stagione contrassegnata dal favore vaticano verso le forme più retrive della religiosità popolare tradizionale, verso quella spiritualità miracolistica, sensazionalistica, in generale magica che piaceva tanto a Giovanni Paolo II. Nella visione culturale e politica di quest’ultimo, la religiosità popolare, in tutte le sue forme, appariva come un alleato irrinunciabile nella lotta quotidiana combattuta dalla Chiesa Cattolica contro la secolarizzazione e la scristianizzazione del continente europeo. In quella terribile battaglia era necessario, per il papa polacco, arruolare tutte le forze disponibili sul campo passando sopra alle sottigliezze eccessive, agli inutili distinguo. Per questa ragione, nel caso di Medjugorje, sono state di fatto ignorate le gravi perplessità sull’autenticità delle apparizioni che provenivano dai vescovi della Bosnia Erzegovina e che avrebbero dovuto indurre le autorità vaticane a sconfessare esplicitamente e già dal principio lo strano fenomeno delle apparizioni programmate e quotidiane. Se su questo delicatissimo versante Francesco invertisse la rotta saremmo dinanzi ad una Chiesa Cattolica che finalmente non si spaventa dei “segni dei tempi”, del cambiamento religioso del nostro tempo e che anzi immagina di poterci convivere serenamente, ribadendo il proprio messaggio e rifiutandosi di arruolare forze che provengono da un passato oscuro e premoderno. Forze che, facendosi agio dei bisogni emotivi di tanti, evocano la magia e la superstizione, rischiando di manipolare le coscienze dei più ingenui e allontanandosi così dallo spirito del Vangelo. A me pare che quando Bergoglio sostiene che quella miracolistica “non è identità cristiana” e che “l’ultima parola di Dio si chiama Gesù e niente di più” voglia significare proprio questo: che un cristianesimo nemico della modernità e disposto a compromettersi con i “professionisti della magia” sarebbe una religione che finisce per smarrire se stessa. A Medjugorje vanno un sacco di curiosi, attirati dallo spettacolo dei “veggenti che vedono”, da quello dei fedeli che cascano in terra come in preda ad un sonno improvviso o degli indemoniati che si scatenano durante le funzioni, delle statue che sanguinano e delle eclissi inspiegabili. Tutte cose che hanno a che vedere con una soprannaturalità posticcia e un po’ caricaturale, miseri brandelli culturali di un antico mondo incantato. Cosa ha a che vedere tutto questo con l’attualità del cristianesimo? Le tantissime parole, l’infinità di messaggi (invero grosso modo tutti uguali), che la Madonna avrebbe consegnato ai veggenti in tutti questi decenni non segnalerebbero forse, se prese sul serio, proprio l’insufficienza del Vangelo, la sua sopravvenuta incapacità di fornire gli strumenti della fede alle donne e agli uomini del nostro tempo? A questa deriva mi sembra ribellarsi Francesco. Speriamo che sia sul serio così e che non si tratti solo di una battuta dal sen fuggita in una calda mattina di giugno.
Marco Marzano* in “il Fatto Quotidiano” del 10 giugno 2015
*professore ordinario di Sociologia all’Università di Bergamo