Riprende oggi a Marsala il processo che vede alla sbarra tre persone accusate di avere gestito, a Mazara, un giro di prostitute sudamericane. E proprio a causa della irreperibilità di queste ragazze (probabilmente non sono più in Italia) il processo sta subendo un rallentamento. Tre udienze, infatti, sono andate a vuoto perché non si sa dove sono le giovani che devono testimoniare. Oggi si farà un altro tentativo. Tra gli imputati c’è anche l’ex assessore comunale Vincenzo Calafato. Oltre a Calafato, proprietario dell’appartamento del centro storico mazarese dove le ragazze incontravano i clienti, imputati per sfruttamento della prostituzione sono anche Leonardo Di Giorgi e Francesco Maielli. A difendere i tre imputati sono gli avvocati Mariella Martinciglio, Stefano Pellegrino e Simone Bonanno. L’indagine, svolta dai carabinieri, nel 2013 scattò a seguito di una segnalazione anonima, secondo la quale il giro di squillo sarebbe stato composto “da tre brasiliane, delle quali due sono in servizio a turno, con tariffe base di 50 e 100 euro”. Il maggior “via vai” sarebbe stato nella “pausa pranzo”. Della ‘casa chiusa’ sempre secondo la fonte, alcuni organi di polizia sarebbero stati a conoscenza, ma sarebbe mancato fino a quel momento fa l’elemento del reato: lo sfruttamento della prostituzione. L’attività sarebbe stata in passato “gestita da un indigeno con italiane – continuava la segnalazione – ora si è ingrandita ed è pieno di giovani”. Il sabato, in particolar modo, e nei feriali all’ora di pranzo era possibile notare numerosi movimenti attorno all’abitazione”. Ai primi di novembre 2013, dopo una serie di intercettazioni, pedinamenti e appostamenti, scattò l’operazione deio carabinieri di Mazara sfociata nel processo. Quattro furono le persone coinvolte. Una di queste, Vittorio Misuraca, che poi ha deciso di patteggiare la pena, fu posta agli arresti domiciliari.
PANTELLERIA. Il gup Vito Marcello Saladino ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Marsala per gli ex comandante e vice comandante della stazione della Guardia di finanza di Pantelleria, il maresciallo Vincenzo Ditta, di 53 anni, e il brigadiere Gaetano Spanò, di 58. Entrambi sono accusati di concussione e falso ideologico. Il processo, in Tribunale, inizierà il prossimo 18 settembre. A fine marzo scorso, per i due militari era già scattata la misura cautelare (che è stata confermata) della sospensione dal servizio. Per questo, sono stati costretti a consegnare tesserino e pistola. Un provvedimento grave per appartenenti alle forze dell’ordine. Ditta e Spanò sono accusati di avere tamponato, con l’auto di servizio, quella di un romeno, costringendo poi quest’ultimo a pagare i danni. I fatti contestati risalgono al 17 giugno 2014. A condurre l’indagine, coordinata dal procuratore Alberto Di Pisa, è stata la sezione di pg della Guardia di finanza della Procura marsalese. Dall’inchiesta è emerso la Wolksvagen Touran del romeno Paul Ferdelas, che dal 2008 vive sull’isola con la moglie e i tre figli, lavorando per un’impresa edile, il 17 giugno 2014 sarebbe stata tamponata dall’auto delle Fiamme Gialle (una Fiat Panda) con cui Ditta e Spanò stavano svolgendo servizio per le strade di Pantelleria. I due militari, però, anziché chiedere scusa e avviare le pratiche per il risarcimento dei danni provocati al mezzo del rumeno, abusando del proprio ruolo, avrebbero prima intimidito il cittadino straniero, dicendogli che sarebbero intervenuti presso il suo datore di lavoro per farlo licenziare, che avrebbero effettuato ispezioni presso il cantiere edile dove lavorava per applicare sanzioni all’imprenditore, che lo avrebbero fatto espellere dall’isola in quanto “straniero”. In tal modo, lo avrebbero costretto ad accollarsi delle spese di riparazione dell’auto della Guardia di finanza. Dell’incidente non fu fatta menzione in alcuna relazione di servizio. In compenso, Ditta e Spanò avrebbero redatto una falsa attestazione sull’ordine di uscita che deve esse compilato per ogni utilizzo di veicoli militari, dichiarando che “non si evidenziano anomalie che precludono l’impiego del mezzo”. I due militari imputati sono difesi dagli avvocati palermitani Loredana Lo Cascio e Alessandro Ticli.