E’ penoso lo spettacolo che appare a quanti, in estate, dopo avere attraversato a piedi un tratto di mare di circa 500 metri, approdano sulla punta settentrionale dell’Isola Lunga per poi proseguire verso la cosiddetta “spiaggia Tahiti”. Pur trattandosi, infatti, riserva naturale, e dunque (almeno sulla carta) tutelata sotto il profilo ambientale, la zona compresa tra la punta nord e la spiaggia - ormai per altro ampiamente ricoperta di alghe e cosparsa di rifiuti di vario genere – offre al visitatore un panorama fatto di recinzioni metalliche arrugginite crollate a terra, di testimonianze di archeologia industriale abbandonate e persino di vere e proprie discariche. Si presume, ovviamente, abusive. Tra i vecchi i magazzini subito l’approdo, c’è anche una sorta di serra con pali in ferro, anche questi arrugginiti e che stanno per adagiarsi al suolo. I bagnati, tra i quali diversi turisti, osservano, passando a piedi, talvolta in maniera distratta, talvolta stupiti, raramente indignati. Forse, perché “presi” soprattutto dalla, seppur deturpata, bellezza dei luoghi, dalle saline e dalle montagne di sale. Ci si chiede come mai l’ente gestore (ex Provincia di Trapani) della riserva naturale “Isole dello Stagnone” istituita dalla Regione nel 1984 non si è mai accorta dello scempio che da tempo si consuma sull’isola. Quello che più appare scandaloso è la presenza di una discarica di materiale edile di varia natura in una zona interna a metà strada tra l’abitazione di un custode (si presume delle saline) e la montagna di sale. A poche decine di metri da quest’ultima, poi, c’è un’imponente struttura metallica arrugginita abbattuta a terra. Un esempio di archeologia industriale che meriterebbe miglior sorte. Sulla spiaggia, poi, che diversi anni fa, per la sua bellezza, è stata denominata “Taithi”, non ci sono solo cumuli di alghe. Il che sarebbe anche normale. In fondo, il mare da e il mare toglie. La sabbia è, infatti, ricoperta dai detriti (tonnellate di canne, legno e altro) che secondo gli esperti arriva in mare durante le “piene” del fiume Birgi. Le correnti, poi, sospingono tutto questo materiale sulla spiaggia. Ma dalla foce del Birgi arriva anche quella sabbia che, anno dopo anno, sta per chiudere la “bocca” nord dello Stagnone, bloccando così il ricircolo delle acque della laguna, con conseguente disastro ambientale. A testimoniare il progressivo innalzamento dei fondali nel tratto tra San Teodoro e l’Isola Lunga anche i diversi ombrelloni piazzati dai bagnanti proprio in quel tratto di mare… Del problema della chiusura della “bocca” nord dello Stagnone si parla da anni, ma gli enti preposti non hanno ancora mosso un dito per studiare una soluzione. Tra qualche anno, magari, sarà troppo tardi… Intanto, sempre in tema di “degrado” dell’Isola Lunga, non si può non ricordare quella colata di cemento realizzata qualche decennio addietro proprio sulla punta settentrionale della più grande delle isole dello Stagnone. Uno “scivolo in mare” per gli autocarri con i quali il sale prodotto dalla “Sosalt” veniva trasportato sulla terraferma sfruttando i bassi fondali di fronte le torri di San Teodoro. Senza quel cemento, infatti, i pesanti mezzi rischiavano di arenarsi in partenza. Nel gennaio 2013, però, la Procura di Marsala dispose il sequestro dello scivolo. Per la magistratura, infatti, era stato realizzato “abusivamente”. E per di più, sul demanio. Dopo il sequestro, la colata di cemento fu rimossa. Nel frattempo, fu ristrutturato il molo dal quale sono tornate a salpare i barconi (un tempo, si chiamavano “schifazzi”) carichi di sale. In precedenza, c’era stato il caso del processo alle 17 persone coinvolte nell’inchiesta sul contestato abusivismo edilizio, con “violazioni delle norme e dei vincoli sulla tutela paesaggistica della riserva naturale dello Stagnone”, che sarebbe stato commesso sull’Isola Lunga con la ristrutturazione di un vecchio immobile che la “Antiche Saline” intendeva trasformare in Eco Resort. L’8 luglio 2011, il Tribunale di Marsala sentenziò l’assoluzione, con varie motivazioni (il fatto “non costituisce reato” o “non sussiste”), per tecnici e funzionari, nonché per l’ex assessore provinciale al Territorio Angelo Mistretta, tutti accusati di abuso d’ufficio, disponendo, però, lo “stralcio”, con rinvio degli atti al pm, per l’eventuale avvio di altro procedimento penale, per gli imputati Giacomo D'Alì Staiti, la moglie Adele Occhipinti, titolari della società “Antiche Saline”, l’architetto Roberto Manuguerra e l’imprenditore edile Gaspare Buscaino. Lo stralcio fu disposto perché, a giudizio del Tribunale, in capo ai coniugi D’Alì, a Manoguerra e a Buscaino poteva configurarsi, come spiegato nell’ordinanza allegata alla sentenza, un reato di maggiore gravità rispetto a quello contestato e per il quale il pm Sabrina Carmazzi aveva chiesto il “non luogo a procedere” per prescrizione. E cioè la “costruzione di opere in zona sottoposta a vincolo perché di notevole interesse pubblico”. E quindi di particolare rilevanza. In quel processo si erano costituiti parte civile le associazioni ambientaliste Ekoclub, Wwf e Legambiente. Oltre all’ex assessore provinciale Mistretta, furono assolti anche l’architetto Enza Canale, ex dirigente del Suap, l’ingegnere Mario Stassi, altro funzionario del Comune di Marsala, nonché Domenico Ottonello, Giovanni Curatolo, Maria Guccione, Antonino Provenza, Francesco Torre, Antonino Castelli, Maria Rosa Sciannaca, tutti componenti del Consiglio provinciale scientifico, l'ex soprintendente Carmela Di Stefano e i tecnici della Soprintendenza Sergio Alessandro e Silvio Manzo.