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29/09/2015 07:12:00

Mafia a Marsala, operazione "The Witness", tre rinvii a giudizio e due condanne

 Sono stati rinviati a giudizio dal gup di Palermo Nicola Aiello tre dei quattro arrestati nell’operazione antimafia “The Witness” (9 marzo scorso). Davanti il Tribunale di Marsala, a cominciare dal 16 novembre, dovranno difendersi dall’accusa di associazione mafiosa il vecchio “uomo d’onore” Antonino Bonafede, 79 anni, padre dell’ergastolano Natale Bonafede, Martino Pipitone, di 65, ex impiegato di banca in pensione, entrambi in passato già arrestati per mafia, e il 53enne pastore incensurato Vincenzo Giappone. L’indagine, condotta dai carabinieri, è stata coordinata dal procuratore aggiunto della Dda Teresa Principato e dal sostituto Carlo Marzella. Secondo l’accusa, Antonino Bonafede avrebbe “ereditato” il bastone del comando in seno alla famiglia mafiosa marsalese dal figlio Natale, in carcere dal gennaio 2003 con una condanna definitiva all’ergastolo. Agli atti anche le dichiarazioni dell’ergastolano Francesco De Vita, in carcere dal dicembre 2009 per l’omicidio di “Vanni” Zichittella, che poi decise di fare marcia indietro, negando tutto e smettendo di collaborare. “In ogni caso – dice un inquirente - le altre prove acquisite sono sufficienti a sostenere l’accusa. Il giudice, comunque, nonostante il passo indietro di De Vita, ha disposto l’ammissione delle sue dichiarazioni al fascicolo”. Per gli inquirenti, Antonino Bonafede, nuovo “reggente”, al quale in gennaio sono stati confiscati beni per oltre 4 milioni di euro, assieme a Giappone, “provvedeva alla raccolta del denaro provento di attività illecite, poi conferito al “mandamento mafioso” di Mazara e ai familiari di affiliati detenuti, come Amato Giacomo, uomo d’onore marsalese condannato all’ergastolo”. Giappone sarebbe stato il cassiere della “famiglia” e il “primo collaboratore” di Bonafede senior. Martino Pipitone, definito “anziano esponente di rilievo della consorteria mafiosa marsalese”, avrebbe esercitato la sua “sfera d’influenza nel centro storico”. E con Sebastiano Angileri deve rispondere anche di intestazione fittizia di una società operante nel commercio all’ingrosso di materiale ferroso (società intestata alla moglie di Angileri). I militari, poi, sono riusciti a monitorare “il passaggio del denaro tra gli affiliati, che era solitamente contenuto in buste di carta e indicato dagli stessi con l’appellativo di malloppo”. La famiglia mafiosa, inoltre, al fine di mantenere il controllo del territorio, si sarebbe interessata al recupero di refurtiva sottratta a persone vicine all’organizzazione criminale, a dirimere controversie tra agricoltori e pastori e a contrastare l’apertura di nuove attività commerciali che avrebbero potuto fare concorrenza a quelle di soggetti mafiosi o vicini a Cosa Nostra. Dalle indagini, infine, è emersa l’appartenenza alla famiglia mafiosa Baldassare Marino, assassinato a colpi di arma da fuoco, nell’entroterra di Strasatti, il 31 agosto 2013. Coinvolti, come detto, nell’indagine della Dda anche il 48enne fabbro marsalese Sebastiano Angileri e la moglie Vita Maria Accardi, il primo accusato favoreggiamento e intestazione fittizia di beni, la seconda solo di intestazione fittizia. Angileri fu arrestato e poi scarcerato, la moglie, invece, soltanto denunciata. Entrambi hanno chiesto di essere giudicati con rito abbreviato e il gup Aiello li ha condannati a due anni (Angileri) e a un anno e 4 mesi (Accardi) di reclusione. Escludendo, però, l’aggravante di attività in favore della mafia. Si sarebbe trattato, dunque, di favoreggiamento personale semplice.