"Sottolineammo subito l'anomalia della strage costata la vita al giudice Borsellino, perché capimmo che per la mafia era una sorta di boomerang. Infatti fece da acceleratore all'adozione di misure repressive". Lo ha detto l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, deponendo al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. "Tememmo - ha aggiunto - un futuro possibile attacco alle istituzioni e che ci potesse essere la complicità di altre organizzazioni criminali".
Dietro le stragi mafiose del '92, prima Capaci e poi via D'Amelio, "pensavamo che ci potesse essere la complicità di altre componenti criminali con l'organizzazione Cosa nostra. Era una nostra valutazione alla Dia, . Ha continuato De Gennaro.
In aula anche i pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. "Quella strage fece quasi da acceleratore a misure repressive e coercitive per Cosa nostra che vennero approvate e che stentavano a essere approvate - prosegue De Gennaro - Fu sottolineata l'anomalia di una organizzazione conosciuta come un'organizzazione che voleva ottenere il massimo risultato con il minimo danno. Rimase una sorta di preoccupazione di una ulteriore evoluzione dell'attività reattiva dell'organizzazione contro le istituzioni e contro lo Stato. In riferimento a quella anomalia pensavamo che ci potesse essere una complicità di altre componenti criminali con l'organizzazione Cosa nostra. C'erano elementi di preoccupazione diversificati. L'allarme venne lanciato anche per il ritrovamento di armi particolari, tra cui un lanciamissili, armi che venivano anche dall'estero. Si parlava anche di un attentato a un aereo dell'Alitalia". E ricorda che l'allora capo del Ros, Antonio Subranni "era particolarmente colpito dalle modalità dell'attentato di Capaci. Disse: 'Ma siamo proprio sicuri che è stata Cosa nostra?'".
Prima De Gennaro aveva parlato del fallito attentato al giudice. "Giovanni Falcone era preoccupato dall'attentato all'Addaura. Mi manifestò i suoi timori per il rischio, i pericoli, che correva per avere alzato il tiro delle sue indagini. In particolare quella che conduceva in collaborazione con un magistrato svizzero". Ha detto Gianni De Gennaro alludendo alla collaborazione fra Falcone e Carla Del Ponte. Nell'aula bunker del carcere palermitano dell'Ucciardone l'ex capo della polizia ha ricostruito, sollecitato anche dalla pubblica accusa, i fatti avvenuti nel 1989, quando una bomba fu piazzata nella casa al mare del giudice Giovanni Falcone, nella borgata marinara dell'Addaura. Un attentato sventato - "ma quando si parlò di falso attentato o addirittura che la bomba se la fosse messa da solo ricordo l'autentica indignazione del magistrato" - dopo il quale Falcone parlò delle "menti raffinatissime" dietro a questo "atto di aggressione". "Con Falcone ero legato anche da rapporti personali e familiari, era certamente turbato. Per quel che ricordo nell'immediatezza dei fatti - ha aggiunto su precisa domanda del pm - non fece alcun accenno a Bruno Contrada