“Lo Svimez e tanti altri autorevoli osservatori certificano e ci notificano che il Sud e la Sicilia in particolare sono condannati ad un lento ed inesorabile declino. Per quanto mi riguarda, non intendo rassegnarmi a questa deriva perché ritengo che la Sicilia, al netto delle ben note problematiche strutturali ed infrastrutturali, possieda realisticamente le condizioni naturali legate alla sua dimensione geopolitica e la strumentazione utile alla possibile ripresa economica e sociale. Naturalmente bisogna “maneggiare” con cura gli strumenti a disposizione. Mi riferisco alla principale potenzialità della Sicilia in quanto Isola, in quanto arcipelago, cioè il Mare. La Sicilia è pure ubicata “strategicamente” al centro di una delle rotte più interessanti sotto il profilo degli scambi e del sistema geopolitico del pianeta: il Mediterraneo. Ce n’è abbastanza per pensare in positivo”. Lo scrive in una nota il presidente del Distretto Produttivo della Pesca, Giovanni Tumbiolo.
“L’Osservatorio Mediterraneo della Pesca – si legge nella nota – ha individuato in questi anni due strumenti destinati a cambiare la marcia verso lo sviluppo: la rete dei distretti produttivi ed il modello della Blue Economy che qui, più che altrove, hanno ragione d’essere applicati. La Blue Economy si basa sui principi di sostenibilità e responsabilità, restauro e rigenerazione delle risorse, divenendo strumento di sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale. Una filosofia produttiva da anni studiata ed elaborata dal Distretto Produttivo della Pesca e dall’Osservatorio. La Blue Economy parte dal mare, dalla Sicilia, ma non si esaurisce né con il mare, né in Sicilia. Contrariamente a quanto si crede, tale modello di sviluppo non riguarda soltanto la pesca, ma si estende a tutte le filiere produttive, dall’agroindustria al manifatturiero al turismo che, nonostante tutto, rappresentano le maggiori leve su cui poggia il futuro della Sicilia. L’acqua è l’elemento cardine di questa disciplina intorno alla quale finalmente l’Europa e l’Italia muovono i primi passi”.
“Il Distretto della Pesca, – prosegue Tumbiolo – l’Osservatorio Mediterraneo con la sua articolazione (CNR, ISPRA, Istituto Zooprofilattico, Parco scientifico e tecnologico, Università, Fondazioni e Centri di competenza), con il sostegno della Regione Siciliana e della Comunità Europea, hanno definito le “nuove rotte verso la Blue Economy”, creando dieci importanti laboratori e quattro assi di ricerca destinati a cambiare le cose. Anche la “democrazia” del Mercato, conferendo un ruolo sempre più incisivo alla produzione primaria, ai suoi veri protagonisti: le imprese. D’altra parte la Sicilia, e con essa il Mediterraneo, devono ripartire dal “primario”, dall’economia reale, dai pilastri fondamentali: agricoltura, pesca, artigianato di valore e turismo”.
“Applicare le regole della Blue Economy ai settori portanti dell’economia siciliana, – spiega Tumbiolo – costituita da un tessuto produttivo fragile, fatto da imprese di piccole dimensioni, spesso a conduzione familiare, artigianale, le cooperative, non è facile. Le imprese delle nostre principali filiere produttive sono troppo piccole per farcela da sole in un mercato sempre più competitivo, globalizzato. È difficile per una micro-azienda agricola, turistica o della pesca ricercare, esplorare mercati spesso assai distanti, muoversi nel magma della finanza pubblica e privata. Da sola non ce la fa. Perciò torna e ritorna fatalmente la necessità di fare sistema, di aggregarsi, creare alleanze. Ma senza perciò perdere l’identità: patrimonio e linfa fondamentale per la crescita. Per questo motivo sono straconvinto che, fra le forme di aggregazione possibili, ce n’è una che è tipica della storia e della struttura economica italiana: il Distretto produttivo”.
“Il Distretto è la strada maestra – ribadisce Tumbiolo – . ‘La globalizzazione non ha ucciso i distretti industriali’. Questa affermazione forte ed autorevole arriva dalla ricerca dell’Harvard Business Review, che per dimostrarla ha deciso di studiare a fondo i Distretti Produttivi italiani. I Cluster – così li chiamano dalle parti di New York – si nutrono del genius loci che interpreta la naturale vocazione produttiva dei territori favorendo il migliore utilizzo del loro patrimonio materiale e immateriale. Quali allora le priorità delle istituzioni pubbliche? In primo luogo, investire nella creazione di una nuova classe manageriale, adeguata a gestire processi di aggregazione. Servono percorsi formativi aggiornati e sostegno all’innovazione tecnica. Condicio sine qua non affinchè ciò avvenga è la liberazione delle strozzature burocratiche ad oggi, purtroppo, presenti in diversi ambiti e a più livelli, dalle pubbliche amministrazioni al mondo della formazione accademica”.
“I Distretti (rispolverati, ma fortemente evoluti, grazie alla loro agilità e capacità di adattamento), – si legge ancora – secondo i recenti studi americani, stanno trascinando fuori dal pantano della lunga crisi economica e finanziaria il nord ed il centro dell’Italia e l’America vuole applicare il modello distrettuale ad ampi settori dell’economia USA. Ma perché il Sud non ce la fa a riprendersi? Perchè i distretti del manifatturiero e neoagricoli che qui godono pure di una forte identità (genius loci) non riescono a spingere fuori l’economia reale da questo vortice politico–culturale che la trascina sempre più in basso? Perché? La risposta è semplice. Nei Distretti ci vuole una forte interazione pubblico–privato ed un ruolo fondamentale è assegnato alle Regioni, in particolare alla Sicilia che è la Regione più “socialista” d’Europa. Qui la maggiore impresa (per fatturato, numero di occupati e finanze) è appunto la Regione Siciliana, con tutta la sua ampia articolazione.
“Se la Regione non ci crede con coerenza e continuità d’azione, non c’è speranza – afferma il presidente del Distretto della Pesca – . Se gli imprenditori delle filiere siciliane non faranno fino in fondo il loro dovere nella linearità e nel rispetto delle regole comuni, non c’è via d’uscita. Il Distretto, dunque, lo certificano gli economisti americani alla ricerca di un modello nuovo, si conferma strumento smart, agile ed ideale per il cambiamento, per la ricerca e la creazione di terreni comuni fra imprese e istituzioni pubbliche, fra imprese e mercato globale, fra imprese e istituzioni finanziarie, fra imprese e istituzioni scientifiche”.
“C’è pure in Sicilia – conclude Tumbiolo – una occasione formidabile per sperimentare e mettere a frutto il duro lavoro che, in particolare i cluster agroalimentari, (Agrumi di Sicilia, Lattiero Caseario, Vino, Cereali, Ficodindia, Albero e Olive, Carne Bovina, Ortofrutta, Dolce Siciliano, Avicolo, Florovivaismo ed anche quello della Pesca) hanno svolto in questi anni. Si chiama Blue Sea Land. Dall’8 all’11 ottobre a Palermo e nella Kasbah di Mazara del Vallo, il modello del cluster, delle filiere agro–ittico–alimentari, l’economia “reale” dei territori ed il modello virtuoso di fare sistema, per creare occupazione e fornire sicurezza alimentare ai produttori ed ai consumatori, sono stati protagonisti a Blue Sea Land, l’Expo dei Distretti Agroalimentari del Mediterraneo, Africa e Medioriente. E’ la IV edizione dell’Expo della Sicilia”.