Mafia, politica e finanza. Nella inchiesta su Unicredit e Palenzona spunta il nome del senatore trapanese di Forza Italia Antonio D’Alì: sbloccò al Ministero i prestiti all’amico dei boss, rivela un pentito. “Nel 2001 il senatore intervenne sul Ministero dello Sviluppo Economico per farci avere dei soldi”. La vicenda la racconta Il Fatto Quotidiano che spulcia le oltre 8000 pagine di carte dell’inchiesta sul costruttore trapanese Andrea Bulgarella e Fabrizio Palenzona, “uno dei tre uomini più potenti in Italia“, come dicono alcuni degli intercettati, dato che è vice presidente di Unicredit (dopo aver cominiciato come camionista). Bulgarella, oggi trapiantato a Pisa, è ritenuto dagli inquirenti un fiancheggiatore di Matteo Messina Denaro. Lui si difende dicendo che nel fascicolo della procura non c’è alcun elemento che assuma rilevanza penale e che non ha mai avuto rapporti con mafiosi.
Racconta Angelo Siino, pentito, considerato il “ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra” su Bulgarella: “Decise di lasciare il settore degli appalti nell’edilizia pubblica perché c’era troppo controllo da parte dei magistrati, si buttò nell’edilizia privata, ma passando dalla Sicilia alla Toscana”. Siino dice ai pm che “Matteo Messina Denaro ha raccomandato Bulgarella per le forniture di cemento”. Anche un altro pentito, Giovanni Brusca, parla di Bulgarella, a proposito del contenzioso su una tonnara di San Vito Lo Capo alla quale era interessato anche Bernardo Provenzano: “Bulgarella aveva costruito un residence nella zona, e un’altra tonnara bellissima”. A seguire gli interessi in Sicilia Occidentale di Bulgarella è sempre il cognato, Giuseppe Poma, ex vice presidente della provincia di Trapani, che sul territorio si avvale di Franco Daidone, altro politico Udc, legato a D’Alì tanto da ottenere la nomina ad assessore del cugino Franco Briale, oggi consigliere comunale a Trapani. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Daidone a sua volta tiene i rapporti con pezzi grossi: Alfano, Schifani e altri. Ma il politico di riferimento è sempre D’Alì, che viene intercettato mentre parla con Bulgarella.
Ma torniamo al tema centrale. Cosa racconta Il Fatto Quotidiano? Nel 2001 un consorzio di imprese vicine a Cosa nostra e guidato dal cognato di Bulgarella, Giuseppe Poma, chiede un patrocinio oneroso al Ministero dello Sviluppo Economico. Di quel gruppo di imprenditori faceva parte Antonino Birrittella, imprenditore mafioso, oggi pentito, che racconta: “Non ci potevano dare i soldi perché ci fu detto che non eravamo in regola con la certificazione antimafia in relazione a qualcuno degli associati. A quel punto, insieme a Poma, abbiamo deciso di fare intervenire il senatore Antonio D’Alì e grazie al suo intervento ogni ostacolo fu superato”. Chissà se questo episodio finirà nell’altro fascicolo, quello che riguarda il processo per concorso esterno in associazione mafiosa che vede D’Alì imputato in Corte d’Appello a Palermo. Il processo è stato già rinviato due volte perché la procura ha chiesto l’ammissione di nuovi elementi di prova a carico del senatore, che in primo grado è stato assolto, con prescrizione dei fatti commessi fino al 1994.