L’ aveva detto due anni fa, il siciliano Vito Varvaro, che nell’isola «la più grande carenza è il management». Il presidente della Cantine Settesoli, uno dei più grandi produttori vinicoli d’Italia, si riferiva in un’intervista ai manager in grado di gestire le aziende private, che in Sicilia a suo dire scarseggiano. Varvaro è l’ex amministratore delegato per l’Italia della multinazionale americana Procter & Gamble, siede nel consiglio della Piaggio ed è stato consigliere di Tod’s, Bulgari, Marcolin e Bialetti. Dunque ne ha viste di tutti i colori, ma di sicuro non gli era mai capitato di non riuscire a versare dei soldi allo Stato, perché lo Stato a cui li offre non li vuole. Il che gli ha consentito anche di verificare come il problema del management privato in Sicilia sia niente, purtroppo, rispetto a quello di certa burocrazia pubblica.
Da quindici mesi Varvaro cerca inutilmente di sponsorizzare l’area archeologica di Selinunte, e ora siamo al punto in cui la spugna vola sul ring. La metafora pugilistica calza perfettamente al caso, perché altro non è stata che una lunga e inconcludente colluttazione nella quale non sono mancati risvolti kafkiani. L’ultimo: non sapendo come liberarsi dell’ostinato sponsor e dei suoi soldi, la Regione Siciliana ha sentenziato che non si può accettare una sponsorizzazione in mancanza di un regolamento regionale sulle sponsorizzazioni che sarà cura della Regione emanare. Quando, non è dato sapere.
E dire che Selinunte di soldi ne avrebbe bisogno eccome, forse anche più di altri beni culturali siciliani. Non fosse altro perché quel sito archeologico che aspira a essere inserito fra i patrimoni dell’umanità, e negli anni passati non ha certo subito un trattamento coerente con tale ambizione, anche accerchiato com’è da un micidiale abusivismo, è rimasto escluso dal piano finanziario regionale d’intervento riservato ai luoghi che hanno il bollino Unesco o sono in attesa di riceverlo. Ma tant’è. La burocrazia prevale anche sul buonsenso.
È l’estate del 2014 quando tutto comincia. Il fatturato della Cantina Settesoli supera di slancio i 50 milioni, incassati in gran parte grazie alle esportazioni in 40 Paesi, fra cui la Cina. E se un’azienda cooperativa della quale sono soci i tre quarti degli abitanti di Menfi decide di dare un contributo alla cultura è ovvio che possa pensare a Selinunte. Da quel centro di 13 mila abitanti in provincia di Agrigento, l’area archeologica dista appena una ventina di chilometri, ed è una delle testimonianze storiche più importanti del Mediterraneo. Ecco allora l’idea: Settesoli verserà direttamente 50 mila euro al Parco archeologico di Selinunte e Cave di Cusa, da investire nei restauri, e quindi si proporrà come capofila per un’operazione di fund raising con l’obiettivo di raccogliere da altri soggetti privati almeno mezzo milione di euro.
C’è anche, come del resto non è anormale in una sponsorizzazione, un certo tornaconto aziendale. Ma non è questo che crea turbamento. Il direttore del Parco, Leto Barone, si dice d’accordo: il comitato tecnico scientifico dell’Ente esamina la proposta e la approva. Il sindaco di Castelvetrano, Felice Junior Errante, pure. E nemmeno l’assessorato regionale competente, quello ai Beni culturali e all’Identità siciliana guidato da Antonio Purpura, solleva particolari obiezioni. Da agosto 2014, quando è partito il progetto, siamo adesso a febbraio 2015 e il dossier è sul tavolo del dirigente del servizio promozione, Enrico Carapezza, per il via libera definitivo. Lì staziona un mesetto, finché viene recapitato alla Settesoli dalla Regione la comunicazione che la pratica si è bloccata. Causa, un avvicendamento al vertice della burocrazia dell’assessorato. Sembra una cosa da niente. C’è solo un nuovo direttore generale, che si chiama Gaetano Pennino. Ma solleva un problema: dice che si deve fare una procedura a evidenza pubblica. Sarà cura del medesimo assessorato predisporre il relativo bando di gara sulla base degli interventi finanziabili individuati dal Parco. In alternativa, la Settesolipuò ricorrere a una possibilità gentilmente concessa dalla normativa nazionale sulle sponsorizzazioni, ovvero il versamento di una somma «sottosoglia» per accedere a una procedura semplificata. Quant’è la soglia? Quarantamila euro.
I mesi passano e del bando di gara neppure l’ombra. Allora Varvaro ingaggia uno studio legale specializzato nella materia e visto che sul fronte regionale non si muove nulla decide comunque di tirare intanto fuori quei quarantamila euro. Si prepara così una nuova offerta di puro finanziamento: ma intanto è scoppiata l’estate e si sa, con il caldo tutto viaggia ancor più a rilento. A cominciare dalle carte. Finalmente si arriva all’8 settembre, giorno in cui i dirigenti dell’assessorato e i vertici dell’azienda si incontrano per mettere la parola fine a questa incredibile vicenda. Parola fine che sarà pronunciata tassativamente entro 15 giorni, garantiscono gli emissari della Regione non prima di essersi complimentati perché per la prima volta si fa avanti uno sponsor privato. Passano due settimane e non accade nulla. Ne passano tre, idem. Trascorso un mese, la Settesoli scrive con una certa irritazione all’assessorato avvertendo che in mancanza di una risposta «si vedrà costretta a prendere atto di una inspiegabile inerzia amministrativa traendone le dovute conseguenze fino all’abbandono dell’iniziativa». A quel punto, palesemente sollevata, la Regione risponde qualche giorno dopo precisando che manca un regolamento regionale per le sponsorizzazioni: grazie tante, ma in assenza di quello non se ne fa nulla. Non basta un codice dei contratti pubblici, non basta un codice dei Beni culturali, non basta il regolamento nazionale sulle sponsorizzazioni messo a punto dal ministero. Ce ne vuole anche uno siciliano. Senza considerare che tutta questa giostra durata oltre un anno non sarà già costata anche più di quei benedetti quarantamila euro.
Sergio Rizzo – Il Corriere della Sera del 19 Novembre 2015