A fine luglio, i carabinieri della Compagnia di Marsala, a seguito di controlli, scoprirono l’ennesima piantagione di canapa indiana. Oltre trecento piante, le cui foglie erano ormai pronte per l’essicazione, nascoste tra gli oleandri in contrada Dammusello. In manette, allora, finirono Vito De Vita, di 38 anni, e Stefano Ciaramida, di 56, entrambi con precedenti in materia di stupefacenti. Adesso, processati con rito abbreviato, sono stati entrambi condannati a un anno e mezzo di carcere. Coinvolto nella stessa indagine anche Giuseppe Ciaramida, figlio di Stefano. Il giovane ha già patteggiato la pena ed è stato condannato a un anno e 4 mesi. Il più noto dei tre condannati è Vito De Vita, sia perché in passato arrestato anche per tentata estorsione, detenzione di cocaina e munizioni, ma anche per essere figlio del boss mafioso marsalese Francesco De Vita, che in carcere sta scontando l’ergastolo per la guerra di mafia del 1992.
Condannato in primo grado (5 mesi e 20 giorni di reclusione), il 30enne marsalese Angelo Salvatore Angileri è stato assolto in appello dalle accuse di coltivazione di stupefacenti e detenzione illegale di armi. Per questi reati era stato arrestato, nel dicembre 2010, nel corso di una operazione antidroga condotta dal Comando provinciale dei carabinieri e coordinata dalla Procura di Marsala. A difendere Angileri sono stati gli avvocati Stefano Pellegrino, Daniela Ferrari e Chiara Bonafede. Avendo effettivamente coltivato canapa indiana, ma tra le mura di casa e per uso personale, la sentenza della prima sezione penale della Corte d’appello di Palermo sancisce, di fatto, per i tre legali, la liceità della coltivazione domestica di cannabis.