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23/12/2015 07:14:00

Trapani, la mafia , l'antimafia e i regali di Natale. In attesa di un vero cambiamento

 Le date sono sempre state la mia fissazione. Numeri glaciali che ognuno di noi associa a fatti personali. Ricordi, avvenimenti e appuntamenti che raccontano un po di ognuno di noi. Attraverso le date formiamo una memoria tutta nostra, intersecandola con una memoria condivisa. C'è il tuo compleanno, il matrimonio dei tuoi genitori, l'iscrizione alla scuola elementare, la prima fidanzatina, il mondiale in Germania, il primo lavoro, la promozione in serie B. Poi ci sono i fatti brutti.
Oggi è il 23 dicembre ed è la data del mio compleanno. Compio 26 anni e mi trovo a Trapani, la città in cui sono nato. Oggi è anche il ventesimo anniversario dalla morte di Giuseppe Montalto, il primo morto di mafia che ho fissato nella mia memoria. Giuseppe era una guardia penitenziaria all'Ucciardone di Palermo ed è stato ucciso nel 1995 nella frazione di Palma, quando aveva appena 30 anni. Venne ucciso per fare un «regalo di Natale» ai boss mafiosi e questa cosa mi ha sempre colpito. Il corpo di Giuseppe venne ucciso da due colpi di fucile mentre era in auto con la moglie e la figlia. Ad ucciderlo è stato il killer Vito Mazzara, lo stesso che nel 1988 aveva tolto la vita al giornalista Mauro Rostagno. A renderlo il «regalo di Natale» adatto, era stato il sequestro di un pizzino scambiato tra due mafiosi Raffaele Ganci e Nitto Santapaola. «L'omicidio – si legge nella sentenza – avvenne da una distanza estremamente ravvicinata per avere certezza di sortire l’effetto voluto». Per l'omicidio Montalto vennerò condannati all'ergastolo Matteo Messina Denaro, Vincenzo Virga, Vito Mazzara e Nicolò Di Trapani.
Quando penso alla sua morte mi viene in mente la canzone di Giorgio Faletti, Signor tenente. Da piccolo era quasi vietata a casa perchè nel ritornello diceva «minchia Signor tenente». La canzone è del 1994 e racconta il post attentati del 1992 visto da un carabiniere, ma per me parla di Giuseppe Montalto. Da quegli anni la musica è cambiata. La paura con il tempo si è trasformata in una coscienza antimafia costruita nelle scuole e cementificata nell'immaginario collettivo. I nomi delle principali vittime di mafia adesso sono diventati parte della nostra toponomastica, ma la provincia di Trapani continua ad essere un caposaldo della nuova mafia, quella rigenerata. In questa «piccola città della Sicilia», in cui è stata ambientata la serie televisiva della Piovra, tuttora accadono delle stranezze. Questa è la provincia della massoneria. Ce lo dice la storia e anche l'attualità. Quì la chiesa non è sempre il miglior alleato ed a volte bisogna guardarsi le spalle anche da lei.
Per tutti questi motivi, quando l'8 gennaio 2014 è stata organizzata «Trapani dice No», in molti hanno strabuzzato gli occhi. In quei giorni sembrava davvero che qualcosa stesse cambiando. I magistrati avevano subito alcune violazioni e la commissione antimafia si apprestava a radiografare il «caso Trapani». In città si radunarono giornalisti, politici, personaggi illustri, e i fatti che solitamente coinvolgono poche persone, entrarono a piedi uniti nel dibattito quotidiano. «Questo percorso iniziato da più di 150 associazioni non è cosa da poco - disse Santo Della Volpe, scomparso pochi mesi fa, rispondendo ad uno degli avvocati del senatore D'Alì, intervenuto alla manifestazione – e il fatto che lei sia qui mi conforta, per dire che anche persone che non si sono trovate come, quelle benvenute carovane antimafia, si avvicinino a questi temi. Fatemelo dire, benvenute carovane antimafia, che hanno avuto la sensibilità di aprire un percorso. Con persone come lei, con i politici, noi vogliamo iniziare un percorso in questa città per far si che tutti gli ordini professionali, degli avvocati, degli architetti, dei giornalisti, siano messi d'ora in poi alla prova per una battaglia antimafia che non vuol dire essere per forza di una parte politica, perchè questo ci insegna molto».
Di quel percorso iniziato da più di 150 associazioni, oggi è rimasto il nulla. Trapani è una città di mafia, ma Trapani è anche una città fatta da tante persone per bene, molte delle quali impegnate quotidianamente nella lotta alle connivenze, alla corruzione, alla subordinazione, tipiche del fenomeno mafioso. Ci sono i ragazzi di Libera, della Saman, di Sapzio Libero. Persone come Giuseppe, che troppe volte vengono isolate, trasformando una battaglia «di tutti» in una questione «di pochi». Spesso si sente dire il refrain «senza entrare nel merito» (come se fosse possibile parlare della realtà trascurando i fatti) e ancora più spesso il dibattito più croccante si svolge sui social network. Post evasivi che finiscono con il colpire questo, piuttosto che quel personaggio. «Pizzini digitali» - come li etichettò Corrado Augias - che il più delle volte finiscono con il fornire il fianco alla solita combriccola di potentati. Regali di Natale in salsa moderna. In attesa di segnarci la data del vero cambiamento.

Marco Bova