“Sì, c’è una mafia che usa l’antimafia”. Il j’accuse di Rosy Bindi intervistata su L’Espresso. Dichiara il presidente della Commissione parlamentare antimafia:
«Quando un anno fa annunciai a Caltanissetta che avremmo avviato un’inchiesta ci furono molte ironie (l’antimafia che indaga sull’antimafia!) da parte di quei commentatori interessati semplicemente a indebolire il movimento. E invece il nostro obiettivo è riaffermare il valore dell’impegno di associazioni, cittadini, istituzioni e imprenditori che per venti anni ha dato un contributo fondamentale alla lotta contro la criminalità mafiosa. C’è chi vuole delegittimare queste presenze preziose. I soliti negazionisti e chi non ammette che la forza della mafia continua a essere fuori dalla mafia. Nel silenzio, nelle complicità, nelle sue relazioni sociali. Vogliamo rilegittimare l’antimafia. Ma possiamo farlo soltanto smascherando alcune ambiguità che obiettivamente esistono».
«Ci muoviamo su più fronti. C’è una mafia che usa l’antimafia per prosperare, l’aspetto più grave e pericoloso. Una mafia, ad esempio, che utilizza la comunicazione per infangare chi lotta contro la mafia. Anche Roberto Saviano ne è stato vittima. C’è poi un’antimafia che dietro l’obiettivo manifesto di combattere i mafiosi nasconde la cura di altri interessi. È quanto sembra emergere in Sicilia, un caso che va approfondito. Al di là dei risvolti penali, lì c’è un movimento antimafia che si è trasformato in un movimento di potere. Cerca di determinare la formazione delle maggioranze in regione, di influenzare le scelte politiche ed economiche. C’è, infine, un’antimafia che diventa un mestiere. Una professione, ma non come intendeva dire Leonardo Sciascia»
«Sono la prima a sostenere che per combattere la mafia servono le risorse, i fondi europei, i finanziamenti per le associazioni anti-racket. Ma servono controlli sulla regolarità dell’uso dei fondi, che peraltro noi abbiamo fatto. E soprattutto nessuno può trasformare la lotta alle mafie in una fonte di reddito. Questo obiettivo viene prima del potere, del prestigio e del lavoro. La mafia si combatte diffondendo la cultura anti-mafiosa: chi ne diventa paladino non può essere attraversato da ombre».
Rosy Bindi risponde anche alle polemiche su Libera, sulla gestione dei beni confiscati, sulle accuse di Franco La Torre e sul caso Saguto:
«Don Ciotti è venuto in commissione, ci ha indicato alcune situazioni su cui si è sentito in dovere di intervenire. La vicenda interna di “Libera” fa soffrire anche chi la segue dall’esterno, come me. Dal punto di vista istituzionale si può solo esprimere gratitudine per il lavoro di questi anni. Nella società civile “Libera” resta un esempio, un cartello buono, l’unico che è ancora in grado di attirare i giovani. L’attacco esterno contro l’associazione è in realtà un attacco al sistema di confisca e di riuso sociale dei beni. Uno strumento che si sta allargando oltre i confini dei mafiosi per colpire anche i corrotti, gli evasori fiscali, il caporalato, i reati ambientali».
«Il caso Saguto è molto grave. Ma, al di là delle eventuali responsabilità penali del giudice, ha evidenziato una legislazione inadeguata e numerose carenze sul funzionamento dell’Agenzia nazionale per i beni. Per questo la nostra commissione ha avviato una riforma di sistema, già approvata alla Camera».