"Dobbiamo molto a tutti quei servitori dello Stato che hanno sacrificato le loro vite" nella battaglia contro la mafia. "Per questo non smetterò mai di insistere e di spronare la magistratura e gli apparati investigativi a cercare la verità. Anche se dovesse risultare scomoda". Parola di Pietro Grasso, presidente del Senato ed ex magistrato, intervistato dalla Stampa per i 30 anni del via al maxi processo di Palermo. "È l'avvenimento che mi ha toccato e non mi ha più lasciato", dice Grasso.
"Fu una grande vittoria di tutta la società civile, dello Stato, di quel pugno di magistrati eroici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino più di tutti, che riuscirono in una impresa dai più ritenuta impossibile per le difficoltà insite nella sola idea di voler processare in blocco Cosa nostra e per il ritardo culturale che, fino a quel momento, aveva reso inadeguata la lotta alla mafia. Ma fu anche la vittoria del popolo siciliano che poté - per una volta - vedere alla sbarra personaggi di cui non si era potuto neppure pronunciare il nome. Fu la fine della sovranità limitata delle Istituzioni nei confronti del malaffare". "A distanza di trent'anni possiamo dire che senza quel successo saremmo un po' meno liberi". "Ho fatto un giuramento davanti ai corpi martoriati di Falcone e Borsellino", aggiunge Grasso. "Ho promesso che non mi sarei mai fermato nella ricerca delle verità sulle dinamiche che hanno causato la loro fine. E credo che non tutto sia ancora stato chiarito. Rivendico il merito di aver portato alla luce, con il pentimento di Gaspare Spatuzza, una verità giudiziaria - sulle stragi di Capaci e via D'Amelio - diversa da quella che era stata data per certa fino a quel momento, e nuovi elementi sulle stragi 'in continente' a Firenze, Roma e Milano del 1993 quando la mafia cambiò strategia e virò la sua violenza contro il patrimonio artistico, causando morti innocenti anche lontano dalla Sicilia".