Il tribunale del Riesame di Caltanissetta ha dichiarato "inammissibile" la richiesta di dissequestro dei documenti e del materiale informatico sequestrati nell'abitazione del vice presidente nazionale e presidente regionale di Confindustria Antonello Montante, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Lo ha reso noto l'avvocato Giuseppe Panepinto, uno dei legali del collegio di difesa di Montante. Per comprendere le motivazioni della decisione, che sarebbe legata a problemi di carattere procedurale, bisognerà attendere il deposito del provvedimento. Le carte, con numerosi documenti riguardanti anche politici, magistrati ed esponenti delle forze dell'ordine, erano state trovate in una stanza nascosta della casa di Serradifalco (Caltanissetta) del leader di Confindustria. Tra il materiale sequestrato anche alcune armi, ma i legali di Montante hanno precisato che si tratta di pezzi da collezione, tutti regolarmente detenuti con le relative autorizzazioni.
I legali di Montante, Nino Caleca, Giuseppe Panepinto e Marcello Montalbano dicono che ''il Tribunale del riesame, senza entrare nel merito, ha adottato una decisione di natura processuale. Seguiremo con scrupolo le indicazioni procedurali che il Tribunale indicherà nelle motivazioni. Abbiamo impugnato l'unico atto che fino a questo momento la Procura ha ritenuto di notificarci. Abbiamo avuto modo di esaminare le carte processuali depositate e impugneremo gli ulteriori provvedimenti, poiché siamo certi che non sussiste neanche il più recondito fumus che possa offuscare l'attività di Antonello Montante e di Confindustria''.
L’accusa per Montante è pesante: aver messo «in modo continuativo a disposizione» degli Arnone (Paolino e Vincenzo, padre e figlio, boss di Serradifalco) «la propria attività imprenditoriale». Montante, amico d’infanzia di Arnone Jr. (che fu suo testimone di nozze), avrebbe favorito l’impresa del mafioso, consentendogli di vincere gare e assumendo personale da lui indicato. In cambio avrebbe ricevuto sostegno per la scalata confindustriale e una “polizza assicurativa” contro le richieste di pizzo. I pm contestano a Montante anche di avere accumulato denaro liquido chiedendo a Massimo Romano (imprenditore leader nella grande distribuzione, voluto dallo stesso Montante al vertice di Cofidi) di cambiargli tra i 100 e i 300mila euro in banconote di piccolo taglio. Fondi per tangenti, secondo i pm.
A sostegno dell’accusa le dichiarazioni di quattro collaboratori di giustizia. Carmelo Barbieri (docente di educazione fisica originario di Resuttano, per un periodo reggente della cosca di Gela) afferma di aver assistito, nel 1996, a un colloquio fra Carmelo Allegro e Gino Ilardo in cui i Montante venivano definiti «amici vicini a loro». Aldo Riggi, invece, racconta della «sostituzione» della ditta di Arnone alla sua nelle forniture di un cantiere di via Amico Valenti a Caltanissetta, parlando di un «rapporto amichevole» fra Montante e il boss. Pietro Riggio, ex agente penitenziario, rivela che quando pensò di chiedere il pizzo al fratello di Montante (di cui non ricorda il nome), il boss Salvatore Dario Di Francesco si mostrò «rammaricato, poiché i Montante erano vicino alla “famiglia” di Serradifalco, nel senso che si prestavano ad assumere persone indicate da quella famiglia e non erano pertanto da “vessare”, quanto piuttosto da riguardare». Ma è proprio Di Francesco il teste-chiave, soprattutto nel delineare il rapporto Montante-Arnone. Nell’ultimo interrogatorio, citato dal Corriere della Sera, il pentito racconta un colloquio con Vincenzo: «Per stuzzicarlo gli evidenziai come il suo compare fosse ormai lanciato nel mondo della legalità. L’Arnone mi rispose con un sorriso sarcastico». Da qui la confidenza: anni prima Montante gli avrebbe chiesto di avvicinare proprio Di Francesco, allo scopo di fargli accusare un’altra persona. Coperta da omissis nelle carte dei pm.
Ma la difesa controbatte punto per punto. Nei due faldoni presentati al Riesame sono contenuti documenti pubblici (relazioni dell’Antimafia), giudiziari (un esposto «sottoscritto da Lo Bello Ivanhoe ed altri», la querela di Montante contro Marco Venturi) e riservati (la trascrizione dell’intervento dell’ex procuratore nisseno Sergio Lari in un Comitato per la sicurezza «ove si evidenziano tentativi di delegittimazione perpetrati con svariate modalità anche ai danni di Montante»), con riserva di produrre altri atti privati. Tra i quali lo «scambio epistolare di e-mail tra Montante e la Procura di Caltanissetta» nel quale si documenta «l’intesa» fra i pm e il leader confindustriale per «una iniziativa volta a convincere anche Arnone Vincenzo a collaborare con la giustizia», chiedendo di «poter accedere al carcere ove lo stesso è detenuto».
Una «ossessione», la chiamano gli avvocati. Quella di Montante per i boss del Vallone, che chiama «i caproni». Contro i quali (anche Di Francesco e Arnone), l’imprenditore s’è costituito parte civile e «ha ottenuto addirittura i risarcimenti giudiziari». Nelle carte della difesa si raccontano due gialli. Il primo è quello del cosiddetto “cantante”. Un personaggio al centro di un esposto anonimo (la difesa lo identifica in Di Francesco) «foraggiato per gettare discredito e fare dichiarazioni accusatorie» contro Montante. Nello scritto si invita a «incentivarlo meglio», così «nelle sue cantate si ricorda sempre qualcosa di più». La tesi della difesa è che ci sia una «inquietante coincidenza» fra il “cantante” e l’escalation colpevolista del pentito.
Accuse che corrispondono anche a un dossier consegato nel 2015 a Totò Alaimo (leader del comitato cittadino anti-miniere ed ex assessore comunale a Serradifalco) da due personaggi «legati a Pietro Di Vincenzo», scalzato da Montante dalla poltrona di presidente di Confindustria Caltanissetta, condannato nel 2014 per estorsione: Tullio Giarratano e Umberto Cortese, ex direttore di Confindustria Caltanissetta ed ex presidente Asi. Ma Alaimo, amico di Montante, andò da lui che lo indirizzò alla Dia, dove gli fu proposto di incontrare di nuovo gli interlocutori e di registrare i colloqui.
La difesa chiede ora di avere le trascrizioni di quelle intercettazioni. L’altra carta della difesa sono le foto delle schermate del profilo Facebook di Dario Di Francesco. Primo accusatore di Montante, collaboratore nascosto in una località protetta, ma “normale” utente del social network, aggiornato con foto e testi. E dunque facilmente raggiungibile da chiunque volesse contattarlo.