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11/04/2016 06:15:00

Pantelleria base avanzata Usa per le operazioni in Libia

 Gli Stati Uniti e l’Italia hanno in parte appaltato lo spionaggio aereo sopra la Libia ad alcune imprese private, in vista di possibili operazioni militari contro lo Stato islamico ma anche per tenere d’occhio “le forze ostili all’insediamento del premier Fayez al Serraj a Tripoli” – vale a dire le milizie che potrebbero attaccare il governo di unità nazionale libico sponsorizzato dalle Nazioni Unite, dall’Italia e dall’America. L’elenco incompleto si trova sul sito Maghreb Confidential.
Si tratta di un apparato di sicurezza affollato, che si appoggia a basi aeree militari soprattutto in Italia (che conferma la definizione di “portaerei naturale”) e in particolare alla piccola isola di Pantelleria: secondo una fonte del Foglio, il centro nodale delle operazioni non è Birgi, vicino Trapani, e nemmeno Sigonella ma Pantelleria. Le infrastrutture risalenti alla Seconda guerra mondiale sono state riammodernate nel 2015 e c’è un bunker scavato nella roccia su più livelli di circa 1.700 metri quadrati, oggi condiviso con l’intelligence americana.
Da lì e da altre basi gli aerei dell’apparato volano sopra la Libia e anche sopra la Tunisia fino al confine sud con l’Algeria – considerate due metà campo della medesima partita contro i gruppi estremisti che tentano l’espansione nel nord dell’Africa con una forza mai vista prima.
I programmi di sorveglianza americani sono almeno quattro: uno pagato dalla Cia, un altro dall’Ussocom, che è il comando delle operazioni speciali americano (quindi il Pentagono), un terzo che risponde alla marina militare americana e impiega gli aerei spia Ep-3 Aries, osservati sopra Bengasi e capaci di intercettare le comunicazioni, e un quarto non meglio specificato con i droni – di questo si conosce l’esistenza soltanto perché un modello avanzato di drone Predator è caduto nel settembre 2015 vicino Derna, in un’area controllata dallo Stato islamico.
Le missioni di sorveglianza italiane sono almeno due. E c’è una quinta missione che cade sotto la responsabilità della Nato, è molto sofisticata ma non lavora ancora a pieno regime e a differenza delle altre per ora non è puntata in modo esplicito sulla Libia, ma è stata piazzata a Sigonella, e questa scelta è eloquente, perché vuol dire che ci si aspetta un rischio in quella direzione.
Ecco cosa si sa dei contratti a privati. La Cia usa una compagnia paravento, la Blue Ridge Aero Services, con base in Virginia, che possiede un Atr-42 che nelle ultime settimane è decollato con frequenza crescente dall’aeroporto internazionale di Chania, a Creta, per volare sopra la Libia.
Lo Ussocom si affida a un King Air 350 (foto sopra) operato dalla CAT (Commuter Air Technology), che è una compagnia controllata dalla Acorn Growth Companies, che ha un rapporto commerciale solido con il dipartimento della Difesa americano. A marzo 2015 l’aereo è stato visto sui radar lasciare Pantelleria per aiutare i soldati tunisini nella caccia ai terroristi che avevano preparato l’attacco al museo del Bardo, sui monti al centro del paese.
L’Italia dall’anno scorso fa volare in leasing un GulfStream III  in leasing dalla compagnia statunitense Lockheed Martin, in versione “Sigint” vale a dire capace di intercettare le comunicazioni che avvengono a terra (signal – intelligence). Il Gulfstream, che secondo il sito Defense News ha piloti forniti da Lockheed Martin, decolla dalla base di Pratica di Mare vicino a Roma e passa le informazioni allo Stato maggiore della Difesa.
Il contratto “è in scadenza nella primavera del 2016”, ma è probabile che vista la situazione corrente sia stato rinnovato. A proposito della situazione, Analisi Difesa segnala che da luglio 2015 l’Italia fa esercitare gli elicotteri d’attacco Mangusta in missioni “dal mare verso terra”, per poterli usare dalle navi Garibaldi o Cavour: l’impiego più probabile è quello in Libia. Oltre al Gulfstream III, l’Italia a gennaio ha spostato quattro caccia Amx e un drone Predator nella base di Birgi, vicino Trapani.
Infine il programma Nato. Nella base di Sigonella, che è l’aeroporto di origine di gran parte di questo traffico, entro la fine dell’anno ci saranno 5 droni Global Hawk, apertura alare 40 metri, così grandi da far sembrare modellini gli altri droni.
Raggiungono i 18 km di quota – quindi non possono essere avvistati o sentiti da terra – e sorvegliano l’obiettivo per più di tre giorni. Oltre a quelli della Nato, dal 2014 ci sono anche cinque Global Hawk americani, di cui però non si conoscono le rotte di volo.

Daniele Ranieri - Il Foglio del 6 Aprile 2016