«La cosa tremenda, e Giovanni si sarebbe arrabbiato tantissimo, è che si è permesso ad un delinquente figlio di delinquente di dare dei segnali tremendi: e questo Vespa non lo doveva fare. Non conosce la mafia, non sa quali sono le sue ottiche, i suoi segnali, le cose che riesce a dire». È quanto ha affermato Maria Falcone parlando agli studenti della Scuola Superiore di Catania commentando l’intervista di Salvo Riina a «Porta a porta».
«Lui ha fatto un discordo ben diretto contro i pentiti - ha aggiunto Maria Falcone - perché sono quelli che hanno inchiodato suo padre. Ha fatto un discorso larvato sulla dissociazione e poi l’altra cosa più tremenda è quella che ha fatto passare l’immagine di una famiglia come tutte le altre dicendo soprattutto che la mafia è un fatto quasi di costume. E quando si dice che tutto è mafia niente poi è mafia».
«Quindi quelli erano segnali talmente deleteri per la lotta alla mafia - ha osservato - che il signor Vespa non si doveva permettere di fare. In fondo cosa ha ottenuto poi? Quello di farci capire che il diavolo può anche amare i suoi figli? Ma questo a noi non interessava».
Di Matteo, non bisogna abbassare la guardia nella lotta alla mafia - "Le stragi che sono state compiute in Italia e in Sicilia anche a opera di Salvatore Riina non hanno uguali al mondo. Recenti acquisizioni investigative, risalenti a due anni fa, ci fanno ritenere che il pericolo di un ritorno allo stragismo sia sempre attuale. Già in passato si era ritenuto che Cosa nostra avesse smesso di far parlare le armi e le bombe e poi ci si è dovuti ricredere". Sono le parole di Nino Di Matteo della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, rilasciate alla trasmissione di Rai1 Petrolio, condotta da Duilio Giammaria.
"Non abbasserei la guardia - ha continuato Di Matteo - perché fino a due anni fa sono emersi elementi concreti che fanno pensare che la mafia si stesse predisponendo a tornare a un attacco violento nei confronti delle istituzioni anche con attentati nei confronti di magistrati di Palermo. Io credo che sarebbe un errore ritenere chiusa per sempre una pagina di violenta contrapposizione allo Stato".
Grasso, lo Stato vincera' lunga battaglia con la mafia - 'Sono passati dieci anni' dall'arresto di Bernardo Provenzano, 'ma resta il durissimo colpo inferto alla mafia e un un segnale chiaro: e' lo Stato che vincera' questa lunga battaglia'. Lo scrive su Facebook il presidente del Senato, Pietro Grasso, raccontando 'quell'11 aprile 2006' quando 'ero arrivato da qualche mese alla Procura nazionale antimafia: seguii minuto per minuto l'evolversi degli eventi finche' non mi arrivo' una telefonata: 'Preso'. Era la liberazione da un incubo, la fine del simbolo dell'invincibilita' della mafia, della caduta di un mito e di un'intimidazione diffusa. Dopo la sua cattura - racconta Grasso - moltissimi giovani siciliani chiesero di poter coltivare i terreni confiscati alla mafia'. 'La mattina della cattura ebbi un incontro di qualche minuto con Bernardo Provenzano negli uffici della squadra mobile di Palermo - scrive ancora il presidente del Senato -. Cosi', pur pienamente consapevole della difficolta', decisi di manifestargli con linguaggio criptico una sorta di apertura a una eventuale collaborazione e lo apostrofai: 'Senta, signor Provenzano, sappia che da parte mia, se c'e' qualcosa da fare per questa nostra Sicilia, io saro' sempre disponibile'. A queste parole il suo sguardo divento' estremamente serio, fisso. Provenzano si sforzava di tenere immobili i muscoli del viso. Evidentemente il suo timore era che potesse trasparire un benche' minimo consenso alla proposta di 'fare qualcosa' con me. Ma una risposta la doveva e, dopo una pausa di riflessione, mi disse a voce bassa, quasi impercettibile: 'Si', ma ognuno secondo il suo ruolo'. Disse proprio 'ruolo', con buona proprieta' di linguaggio. In due parole aveva puntualizzato: 'Tu fai il magistrato che' io faccio il mafioso. Tra noi non ci potra' mai essere alcuna possibilita' di rapporto'. Provenzano aveva potuto contare su una fortissima rete di supporto nella sua decennale latitanza ma, finalmente, lo avevamo preso. Sono passati dieci anni - conclude Grasso - ma resta il durissimo colpo inferto alla mafia e un segnale chiaro: e' lo Stato che vincera' questa lunga battaglia'.