Nuova polemica sul fronte antimafia. “Siamo davanti a una censura preventiva. Secondo Di Matteo, evidentemente, per essere relatore a un convegno si deve essere d’accordo con lui. Non basta essere studiosi esperti degli argomenti di cui si tratta. Ma dove siamo arrivati? A me paiono ragionamenti da Stato autoritario, una sorta di censura culturale fascista”.
Di non presentarsi all’incontro di studi organizzato dalla struttura territoriale della Scuola Superiore della Magistratura su uno dei suoi cavalli di battaglia, il concorso esterno in associazione mafiosa, Giovanni Fiandaca, tra i più noti docenti di diritto penale italiano non ha alcuna intenzione.
“E ci mancherebbe altro”, risponde dopo aver saputo che il pm Nino Di Matteo, tra i magistrati che sostengono l’accusa al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, ha duramente criticato la sua partecipazione al convegno che si terrà a Palermo il 28 e il 29 aprile dal titolo “Le vicende del concorso cosiddetto esterno in associazione di tipo mafioso tra legislazione ed interpretazioni multilivello”.
Di Matteo, in un’email inviata a tutti i colleghi si era chiesto polemicamente: “L’avere espresso giudizi fortemente critici nei confronti delle impostazioni accusatorie di processi in corso in questo distretto è forse diventato motivo di ulteriore merito per la scelta dei relatori?” Il nome di Fiandaca non l’ha fatto, è vero, ma il riferimento, chiaro, è alle posizioni espresse dal docente, pure in un libro scritto a quattro mani con lo storico Salvatore Lupo, sull’inchiesta sulla trattativa. Fiandaca non ha mai risparmiato appunti tecnici all’impianto accusatorio. Ed evidentemente al pm, che nel corso di una commemorazione di Giovanni Falcone organizzata alla facoltà di Giurisprudenza, aveva definito Lupo e Fiandaca “cattivi maestri”, le opinioni del professore non sono proprio andate giù.
“Ma poi – si chiede Fiandaca – con quale legittimazione Di Matteo decide chi può e chi non può parlare? Questo è un convegno legittimamente organizzato dai magistrati della formazione decentrata. Sono iniziative di studio autorizzate dalla scuola nazionale”.
Alla presa di posizione del pm, che farà certamente discutere, rispondono gli organizzatori del convegno spiegando che, come in occasioni passate lo stesso Di Matteo ha potuto sperimentare, si tratta di incontri pensati anche per stimolare il confronto tra i partecipanti.
Ma il sito Antimafia Duemila, vicino alle posizioni di Di Matteo, rincara la dose:
A parte il fatto che il pm palermitano non fa altro che esprimere un pensiero senza chiedere né censure, né annullamenti di eventi, il professore non ricorda, o fa finta di non ricordare, che appena un anno fa intervenne in prima persona per esprimere i propri “diktat” sulle modalità di svolgimento che avremmo dovuto tenere in occasione della conferenza che era stata organizzata alla facoltà di Giurisprudenza per il 23°anniversario della strage di Capaci e che poi si svolse in altra sede. In particolare Fiandaca criticò il titolo della stessa (“Ibridi connubi – Dal gioco grande intuito da Giovanni Falcone fino ai giorni nostri”), avanzò riserve sui nomi dei relatori che erano stati invitati (“dogmatici e poco critici”) ed arrivò persino a chiedere una lettera di scuse da parte di Di Matteo (reo di averlo appellato in “casa sua”, al convegno dell’anno prima, come un “negazionista e giustificazionista”) qualora avessimo deciso di non rinunciare alla richiesta dell’aula magna per effettuare la conferenza.
A quella “conditio sine qua non”, in nome dell’assoluta libertà di pensiero ed a difesa dei nostri relatori, decidemmo di effettuare la manifestazione in altro luogo. Alla luce dei fatti, dunque, chi ha avuto un atteggiamento di “censura culturale fascista”? Chi ha voluto mettere in atto “una censura preventiva” e “un’ideologia da Stato autoritario” negando quella libertà culturale che dovrebbe essere garantita in un luogo pubblico come la Facoltà di Giurisprudenza?